Dietro un pomodoro da un euro c'è un uomo da cinquanta centesimi
- Il Foglio di Villa Greppi

- 3 ore fa
- Tempo di lettura: 3 min
di Alessandra Mauri
C’è un’Italia che non si vede nei telegiornali, un’Italia che inizia a vivere all’alba e sparisce al tramonto. È l'Italia dei braccianti, delle donne e degli uomini che lavorano nei campi piegati sotto il sole, per ore, spesso senza diritti. È l’Italia del caporalato, una parola che sa di ingiustizia e che, purtroppo, è ancora terribilmente attuale.
Il caporalato è un sistema di sfruttamento in cui i caporali, intermediari illegali, reclutano manodopera per conto di aziende agricole. In cambio chiedono denaro, fedeltà e silenzio. Promettono un lavoro, ma offrono una vita di fatica, paura e invisibilità. Chi accetta lo fa perché non ha alternative: molti sono migranti, persone arrivate in Italia con la speranza di un futuro migliore, ma che si ritrovano intrappolate in un meccanismo di sfruttamento che toglie dignità prima ancora che libertà.

Il fenomeno non riguarda solo il Sud, come si è portati a credere, ma tocca tutta l’Italia. Dalla Puglia alla Lombardia, dalla Calabria all’Emilia-Romagna, migliaia di lavoratori vivono lo stesso copione: fatica, sfruttamento, paura. La differenza è solo nel paesaggio. Sveglie che suonano alle quattro del mattino, viaggi su furgoni sovraffollati, dodici ore di lavoro per poche decine di euro. Senza contratto, senza ferie, senza sicurezza. E con la paura costante che una parola di troppo possa far perdere tutto: questa è la loro "vita". Spesso il caporalato non è solo una questione di agricoltura. Esiste anche nei cantieri, nella logistica, nella ristorazione o nei servizi di cura. È come un’ombra che si allunga ovunque ci sia bisogno di lavoratori disposti a tutto pur di sopravvivere.
Negli ultimi anni lo Stato ha cercato di reagire. Dal 2011 il caporalato è considerato un reato e, grazie alla legge del 2016, le pene per chi sfrutta i lavoratori sono diventate più severe. Ma il problema non è solo legale: è anche culturale e sociale. I controlli non bastano, le denunce sono poche e chi sfrutta trova sempre nuovi modi per nascondersi.
Dietro a ogni ingiustizia, però, ci sono anche storie di coraggio. Ci sono lavoratori che hanno trovato la forza di denunciare, sindacati che li hanno sostenuti, associazioni che hanno acceso i riflettori su questo fenomeno. Ci sono cooperative che scelgono la legalità e aziende che garantiscono filiere etiche, dove i prodotti costano un po’ di più, ma il prezzo è pagato in modo giusto, senza sfruttare nessuno. E poi ci siamo noi. Noi che spesso non ci pensiamo, ma ogni volta che facciamo la spesa o che vediamo un prezzo troppo basso, dovremmo chiederci: chi paga davvero quel risparmio? Perché dietro a un pomodoro, un’arancia o un grappolo d’uva c’è sempre una persona, una storia, una fatica.
Il caporalato non è solo una questione economica: è una ferita morale. È il segno che in un Paese civile ci sono ancora vite considerate meno degne di altre. E finché questo accadrà, non potremo davvero parlare di giustizia. Ma ogni cambiamento inizia da un gesto, da una scelta, da una voce che decide di non restare zitta. Informarsi, parlarne, denunciare: sono piccoli passi che possono fare una grande differenza.
Perché la dignità del lavoro non dovrebbe mai essere trattata come merce da mercato. E forse, un giorno, dietro ogni pomodoro rosso e lucido non ci sarà più il sudore di chi non ha voce, ma la certezza di un lavoro pulito, onesto e rispettato.






Commenti