Orrore: giornalista ucraina torturata a morte
- Il Foglio di Villa Greppi
- 19 mag
- Tempo di lettura: 4 min
di Mauri Alessandra

Viktoriia Roshchyn, 27 anni, era una giornalista ucraina che voleva raccontare la storia delle sofferenze dei suoi connazionali sotto l’occupazione russa.
Lo scorso 14 febbraio il suo corpo, mummificato e irriconoscibile, è tornato a casa dentro un anonimo sacco di plastica bianco etichettato come "corpo 757, maschio non identificato". Per il suo riconoscimento si è resa necessaria l’analisi del DNA. Aveva la testa rasata e segni evidenti di torture: abrasioni, contusioni, una costola rotta e indicazioni compatibili con l'uso di scosse elettriche. Ancora più inquietante la scoperta fatta durante l’esame post-mortem: mancavano diversi organi interni, tra cui cervello, bulbi oculari e parte della trachea. Un medico legale internazionale ha ipotizzato che la rimozione di questi organi possa essere stata deliberata, per nascondere prove evidenti di soffocamento o strangolamento. Non pensare, non vedere, non parlare: è ciò che chiede il Cremlino agli ucraini sotto occupazione, ma anche ai propri cittadini e al resto del mondo in relazione alle proprie azioni militari e politiche.

Viktoriia Roshchyn nasce il 6 ottobre 1996 a Zaporizhzhia, lungo le sponde del fiume Dnepr. Cresciuta insieme alla sorella più piccola, si appassiona presto al giornalismo e comincia a lavorare come cronista quando è ancora adolescente. Inizia a collaborare con i giornali locali per i quali si occupa di cronaca nera e cronaca giudiziaria. Quando nel febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina, i territori in cui è nata è cresciuta diventano teatro di conflitto e allora Viktoriia diventa una reporter di guerra. Pochi giorni prima della sua partenza scrive alla caporedattrice di Ukrainska Pravda (uno dei giornali per cui lavorava come freelance): "Solo andando lì si può comprendere il quadro completo”. Comincia quindi a muoversi tra le città bombardate raccontando la vita quotidiana della popolazione sotto il fuoco russo, raccoglie testimonianze dalle trincee. A marzo del 2022 la città di Mariupol viene messa sotto assedio dall’esercito russo e Viktoriia Roshchyn, insieme al suo operatore, racconta la situazione in città. Mentre sta lavorando viene arrestata da un gruppo di soldati ma riesce a fuggire e si nasconde insieme ad altri civili in uno scantinato. Per i russi lei rappresenta una minaccia, perché è libera di muoversi e documentare quanto accade, per questo iniziano a darle la caccia.
Qualche mese dopo il tentativo di fermo a Mariupol, la sua auto viene attaccata dai carrarmati russi e le rubano tutta l'attrezzatura. L’esercito russo riesce ad arrestarla qualche settimana dopo. La giornalista viene portata nella prigione di Berdiansk dove viene trattenuta per dieci giorni. Viene liberata solo dopo aver accettato di girare un video in cui spiega che, in realtà, l’esercito russo le avrebbe salvato la vita. Appena libera scrive però un articolo per denunciare tutto e raccontare la vita da detenuta.
Per il suo lavoro, qualche mese dopo la giornalista vincerà il premio Courage in Journalism Award dall'International Women's Media Foundation. Alla cerimonia di premiazione, però, non partecipa perché impegnata in un reportage sul campo.
A luglio del 2023, parte per l’ultima missione. Attraversa Polonia, Lituania, Lettonia e infine entra in Russia. Affitta un appartamento a nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhzhia, e inizia a raccogliere testimonianze. Usa più telefoni, invia file che si autodistruggono, prende ogni precauzione possibile. Ma il 3 agosto, ogni traccia di lei si perde: il suo telefono si spegne e il padre, non riuscendo più a contattarla, lancia l’allarme. Il 21 settembre 2023 la famiglia presenta una denuncia ufficiale di scomparsa. Il 22 aprile 2024 una lettera dal governo russo conferma che Viktoriia è detenuta, senza, però, spiegarne i motivi.
La vicenda viene portata all’attenzione internazionale anche da reporter senza frontiere, mentre l’Unione Europea denuncia la detenzione definendola arbitraria e illegale. Per mesi non si hanno notizie fino al 10 ottobre del 2024, quando viene comunicata la sua morte, in circostanze non dichiarate, avvenuta per cause naturali il 19 settembre 2024. Appena la notizia della morte di Viktoriia si diffonde, sono in molti a chiedere che venga fatta un’indagine più approfondita ipotizzando un potenziale omicidio e un crimine di guerra. ‘’Per mia figlia, il giornalismo era la cosa più importante della sua vita, era molto devota alla sua professione", ha affermato il padre.
Questa donna era nota tra i colleghi per la sua determinazione e per la volontà di andare dove nessuno aveva il coraggio di spingersi. Nonostante le raccomandazioni dei colleghi e del padre, veterano di guerra, Viktoriia aveva deciso di andare personalmente nei territori occupati, convinta che fosse suo dovere dare voce agli ucraini rimasti sotto il controllo russo. Era determinata a portare a conoscenza del mondo la verità sulla brutale guerra di aggressione della Russia e sulla sua occupazione illegale dell'Ucraina. Voleva raccontare la rete di prigioni segrete in cui i russi hanno rinchiuso migliaia di ucraini (si stima fino a 16mila) accusati di collaborazionismo, di resistere all'occupazione o semplicemente solo perché soldati, arrestati senza incriminazioni e senza possibilità di comunicare con l'esterno. In questi anni di guerra, i giornalisti ucraini sono andati raramente nei territori occupati russi, zone considerate per loro altamente rischiose. Lei è la prima reporter ucraina morta in una prigione russa. Il suo destino, svelato solo dalla tenacia di colleghi e familiari, è diventato l’emblema della brutalità subita da chi osa raccontare ciò che non dovrebbe essere visto.
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