di Letizia Sala
È dal 1988 che ogni 14 marzo si celebra il Pi Greco day. Sin dalle elementari ci insegnano che la data scelta ricalca proprio le prime tre cifre del numero approssimato (3/14 in datazione inglese), ma non siamo mai stati spinti ad andare oltre la semplice data simbolica per capire davvero quanto una costante matematica sia stata in grado di rivoluzionare le nostre vite.
Per studenti delle superiori come noi, il Pi Greco è diventato quasi un’abitudine. Sulla calcolatrice diventa un banale 3,14. Lungi da noi indagare al di là di quelle tre cifre: perché mai dovrebbe interessarci il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio?
QUANTO È FONDAMENTALE
Ecco quindi il primo senso della giornata del Pi Greco: capire che oltre quei decimali c’è un mondo, e che quel mondo influenza la nostra vita di tutti i giorni senza che noi ce ne rendiamo conto.
Se alla mattina sentiamo la sveglia suonare, è perché il Pi Greco è lì a governare le oscillazioni delle onde sonore (le oscillazioni fanno riferimento alle funzioni seno e coseno, che sono strettamente legate alla costante). Se anche non sentissimo la sveglia alle sei del mattino non sarebbe una tragedia, ma pensate a chi, privato del senso della vista, può fare affidamento esclusivamente al senso dell’udito per compiere azioni potenzialmente rischiose come attraversare la strada. O ancora, senza il primato del Pi Greco sulle onde elettromagnetiche, microonde, wi-fi, cellulari e computer non esisterebbero, perché non saremmo in grado di dominarli. Anche in architettura il Pi Greco è fondamentale: sbagliare un calcolo per un’approssimazione erronea della costante può voler dire rischiare il crollo di una galleria o di un tunnel.
Persino in tempi di pandemia il Pi Greco si è reso fondamentale: essendo strettamente legato alla curva Gaussiana, ha permesso di calcolare, attraverso la statistica, dati relativi alla diffusione del virus, alla sua incidenza e alla sua durata.
LA STORIA
Non si tratta, quindi, di tre banali cifre che per divertimento rincorrono gli studenti durante l’intera carriera scolastica. Innanzitutto, non sono tre: dopo la virgola seguono 62.800 miliardi di cifre (record raggiunto da ricercatori svizzeri attraverso un supercomputer lo scorso agosto). Ma non sono nemmeno banali: tutti pensano che sia stato solo Archimede a occuparsi del rapporto tra circonferenza e diametro, ma la storia del Pi Greco risale a molto prima. I primi a ipotizzare il valore della costante furono i Babilonesi, nel XX secolo a.C. Poi diedero il loro contributo anche gli Egizi, poi Anassagora, fino alle dimostrazioni di Archimede e alle aggiunte di Newton. Alcune delle più grandi menti che il mondo ha conosciuto si sono cimentate con questa costante irrazionale. Intere generazioni di studiosi sono impazzite per calcolare più cifre decimali dello studioso precedente.
COSA CI INSEGNA
Gli stessi ricercatori svizzeri, ora insigniti del Guinness World Record, hanno precisato che, all’atto pratico, aver identificato 62 miliardi di cifre del Pi Greco è insignificante. Ma concentrarsi solo sull’inutilità pratica del conoscere quante più possibili cifre decimali vanifica l’intero scopo del Pi Greco day. È l’amore per la conoscenza a essere davvero messo in luce, è lo spingersi sempre oltre pur sapendo che un numero irrazionale, sempre irrazionale rimarrà. È far progredire l’umanità senza che questa se ne renda nemmeno conto. Le tecniche computazionali sviluppate dai ricercatori svizzeri di sicuro verranno utili in altri modi e negli ambiti più svariati: dall’analisi di codici genetici all’individuazione di nuovi farmaci (così come i calcoli dei predecessori degli studiosi svizzeri hanno svoltato la nostra vita, un’invenzione dopo l’altra).
Il concetto fondante della giornata del Pi Greco è, perciò, rincorrere la conoscenza anche quando questa ci sembra inarrivabile e avere il piacere di scoprire sul cammino cose di cui magari il genere umano, tra qualche anno, non saprà fare a meno. E questo, oltre a essere rincuorante proprio il giorno in cui mancano esattamente cento giorni all’inizio degli esami di maturità, è un insegnamento a cui sarebbe bene fare riferimento per tutta la vita. Ma non solo: in questo periodo di somministrazione delle prove INVALSI, è impossibile non pensare ai risultati sempre più scarsi che gli studenti italiani stanno registrando rispetto alla media europea. Gli analfabeti funzionali sono un grandissimo problema del nostro Paese, che si posiziona sempre più in basso nelle classifiche delle indagini OCSE PISA.
Sarebbe bene, pertanto, cogliere fino in fondo lo spirito di giornate come il Pi day o il Dantedì per agire nel concreto, partendo dalle scuole. Parte del senso del 14 marzo è proprio cogliere l’occasione per capire quanto fondamentale sia insegnare ai ragazzi in modo innovativo, trasmettendo non solo conoscenze ma anche passione, guardando non solo al passato ma anche al futuro, concedendogli di impadronirsi della capacità di osservare il mondo con occhi critici, regalandogli ambienti scolastici che non cadano a pezzi e che li invoglino, una volta sul serio, a spingersi davvero oltre il significato di un semplice diametro e di una semplice circonferenza
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