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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

VIVERE SENZA LIBERTA’: UN TESTIMONE DIRETTO

di Claudia Molteni Ryan


Claudia Molteni Ryan e Ambrogio Riboldi

I testimoni di un terribile periodo della storia d’Italia, la guerra civile che si innescò dopo l’8 settembre 1943, sono oramai sempre meno. Loro, che hanno vissuto sulla loro pelle paure, fame, a volte percosse e torture, e con la loro testimonianza diretta, vera e piena di passione, ci hanno informato e fatto capire cosa significa non avere democrazia e libertà, per il naturale passare del tempo lasciano il testimone a figli e nipoti.

Alcuni, però, hanno una tempra eccezionale ed è un onore e un’emozione poterli conoscere.

Ambrogio Riboldi, 95 anni, l’ho incontrato a casa sua: un uomo eccezionale dalla mente lucida, che non ha perso la passione per gli ideali che lo hanno animato tutta la vita, ideali di uguaglianza, libertà, e che lo avevano portato, quando aveva vent’anni, a diventare partigiano nella 104a Brigata Garibaldi.

Sono andata a trovare il Sig. Riboldi perché, da partigiano, era stato catturato in una retata ad Arcore e portato a San Vittore a Milano. Chi meglio di lui poteva raccontarmi come era la vita nel carcere durante l’ultimo periodo della guerra?

Sto scrivendo un romanzo basato su una storia vera, e il mio protagonista fu portato a San Vittore nell’aprile del 1944. Ambrogio Riboldi ci andò dal febbraio 1945 fino alla fine della guerra, il 24 aprile 1945, quando il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) aveva scarcerato tutti i prigionieri un giorno prima della liberazione ufficiale d’Italia.

Ambrogio ebbe alcune fortune, una delle più importanti fu quella di finire davanti a un giudice che segretamente non aveva grandi simpatie per i fascisti e, in compenso, da milanese soffriva letteralmente la fame (in quel momento chi viveva in città aveva più problemi a reperire cibo rispetto a chi viveva in campagna). Propose perciò a Riboldi e a due suoi compagni partigiani arcoresi uno scambio: lui li avrebbe aiutati a non finire nella lista dei deportati e loro gli avrebbero procurato della carne da mangiare. Fu così che in tutta Arcore, che a quel tempo era un paesino, si fece una colletta per comprare della carne alla borsa nera.

La vita a san Vittore in quel periodo era pessima: quattro prigionieri in una cella che era destinata originariamente a uno solo, di conseguenza si dormiva sul pavimento perché i letti non ci stavano, sul quale c’era sporco e insetti di ogni tipo. I carcerati erano sempre chiusi nelle loro quattro mura, si usciva una volta al giorno per l’ora d’aria e, un prigioniero a turno, per svuotare il bugliolo (secchio per i bisogni corporali). Il cibo, inutile dirlo, era orribile: al mattino caffè di cicoria e poi per tutto il giorno doveva bastare una scodella di brodaglia e un bastoncino di pane nero.

In compenso in carcere c’era molta solidarietà, sia tra detenuti comuni che politici. Il momento più inquietante era la sera, quando si sentiva il rimbombo degli stivali tedeschi che, con passo deciso, avanzavano nei corridoi: il cuore accelerava e lo stomaco ci chiudeva per la paura, perché i nazisti sceglievano, apparentemente a caso, dei prigionieri e se li portavano via. Uomini che, puntualmente, non tornavano più.

La consapevolezza di quello che siamo stati è fondamentale per capire dove vogliamo andare e cosa vogliamo fare nel futuro. Questo è un concetto da cui no si può prescindere, come popolo, come nazione. Conoscere la nostra storia, gli errori commessi, è una prerogativa per non ricadere negli stessi sbagli, non ritrovarsi con gli stessi pericoli alle porte.

Ambrogio Riboldi ha ribadito un concetto importantissimo: “L’Europa unificata è meravigliosa: da quando le nazioni europee si sono unite non ci sono state più guerre.” Per molti, forse, sembra un fatto scontato che dove viviamo non ci siano guerre, ma si sbagliano, perché è proprio grazie all'unità d’intenti delle diverse nazioni europee che si sono scongiurati altri scontri bellici. Certo, l’Europa deve crescere e migliorare, ma bisogna darle il tempo e bisogna crederci.

Ringrazio il sig. Riboldi per avermi accolto e raccontato un piccolo pezzo della sua vita, che ha arricchito la mia.


(articolo apparso sull'ultimo numero del giornalino cartaceo di dicembre 2018)

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