di Alessandra Mauri
Il 14 novembre è uscito nelle sale il film “Non sono quello che sono” di Edoardo Leo, che dirige e interpreta una rilettura dell'“Otello”, adattandolo ad un comune racconto di malavita romana: una storia in cui il bene e il male si mescolano tra inganni, tradimenti e folle gelosia, ponendo l’accento sulla violenza di genere e sulla discriminazione tra i due sessi. Parole e personaggi sono fedeli all’opera originale scritta nel 1604 da William Shakespeare.
“Io, guerriero prode e condottiero onorato e celebrato, ho ucciso ingiustamente la donna che amavo perdutamente, ma l’ho uccisa per troppo amore.”
Con queste parole Otello, prima di togliersi la vita, cerca di giustificare la sua insana follia, che ha guidato la sua mente e la sua mano, seminando dolore e morte intorno a sé.
Razzismo, violenza, invidia sociale, femminicidio e maschilismo: un’opera di quattrocento anni fa capace di fotografare con spaventosa lucidità la società odierna. Nella dinamica tossica tra maschio e femmina, infatti, non è cambiato nulla (o quasi) nei quattro secoli che ci separano dall’“Otello” di Shakespeare. Tutto questo deve spaventarci e rattristarci allo stesso tempo.
Attenzione, però, perché la violenza di genere non è solo una questione degli adulti. Lo dicono i dati della ricerca realizzata da “Fondazione Libellula” su adolescenti dai 14 ai 19 anni. Al sondaggio hanno partecipato 1592 persone nel periodo di circa due mesi.
I risultati emersi sono preoccupanti:
per tre ragazzi su dieci non è una forma di violenza toccare una persona senza il suo consenso;
lo stalking non è violenza per quattro adolescenti su dieci;
per uno su quattro è normale diventare violenti se si scopre un tradimento;
per un adolescente su tre “le ragazze dicono di no, ma in realtà intendono sì”;
per due ragazzi su dieci non è una forma di violenza isolare il proprio partner mettendogli contro amiche o amici e non lo è neanche chiedere foto intime.
Nella ricerca condotta si fa anche riferimento alla musica trap in cui “lo stupro viene promosso all’interno di un’estetica della violenza che alimenta il modello del maschio tossico e della ragazza bitch, oggetto sessuale usa-e-getta, senza diritti e col dovere di soddisfare il maschio alfa”.
Resistono, inoltre, ancora oggi stereotipi del passato:
per il 36% degli intervistati (47% maschi e 25% femmine) “gli uomini hanno bisogno di una donna che si prenda cura di loro”;
per il 38% (49% ragazzi e 27% ragazze) “le donne hanno bisogno di un uomo che le protegga”.
Questi risultati dimostrano come la nostra cultura sia ancora in gran parte intrisa di maschilismo, che trova le sue radici nel patriarcato, un sistema sociale in cui il potere è posseduto dagli uomini e le donne non hanno diritti, ma devono essere protette e mantenute dai maschi (padri, mariti o fratelli), dato che, in qualche modo, sono considerate una loro proprietà.
A distanza di secoli la società si è evoluta, le donne hanno combattuto per ottenere diritti fondamentali, tuttavia è ancora molto diffuso il retaggio delle culture patriarcali tradizionali, che sfociano in comportamenti maschilisti che, spesso, portano alla prevaricazione e alla violenza contro donne e ragazze.
Che cos’è il maschilismo?
Per definizione è “l’adesione a comportamenti e atteggiamenti personali, sociali e culturali con cui gli uomini esprimono la convinzione di una loro superiorità nei confronti delle donne sul piano intellettuale, psicologico, biologico, ecc., occupando una posizione di privilegio nella società”.
Troviamo testimonianze di maschilismo già a partire dal 1200 a. C. È emerso, infatti, da alcuni documenti dell’epoca, come nella cultura cinese fosse di cattivo auspicio per la famiglia che il bambino appena nato fosse di sesso femminile.
Molti esempi di maschilismo sono intorno a noi e troppo spesso passano inosservati:
nelle pubblicità la donna viene rappresentata come oggetto sessuale oppure come casalinga e/o madre;
in molte famiglie esiste ancora una rigida divisione dei compiti domestici, in cui la maggioranza del carico di lavoro è sulle spalle delle donne e le ragazze di casa, anche se queste lavorano o studiano esattamente come fanno i componenti maschili, a cui vengono risparmiate molte mansioni;
un comune atteggiamento maschilista è il cosiddetto mansplaining, ovvero “l’abitudine degli uomini di spiegare in maniera paternalistica (e a volte arrogante) alle donne questioni e fatti che loro conoscono bene, magari meglio di loro, dando per scontato che alcuni argomenti siano appannaggio esclusivamente maschile”;
gran parte dei farmaci oggi in commercio sono stati testati prevalentemente sugli uomini, senza tener conto della complessità del corpo femminile, per cui spesso il dosaggio per le donne è sbagliato o addirittura il farmaco risulta nocivo;
molti accessori e attrezzi anche specialistici (come caschi, guanti, scarpe) sono progettati partendo dal corpo maschile e vengono commercializzati in dimensione più piccola per le donne, anche se la donna chiaramente non è “un uomo più piccolo”;
a parità di curriculum, gli uomini continuano ad avere più probabilità di essere assunti e, a parità di rendimento, hanno più probabilità di essere promossi;
un uomo e una donna hanno le stesse competenze, fanno lo stesso lavoro per lo stesso numero di ore, ma l’uomo viene pagato di più: due individui identici in tutto e per tutto, dunque, ricevono uno stipendio diverso perché uno è maschio e l’altro è femmina.
Il maschilismo ha condizionato fortemente anche la mentalità delle donne, che hanno interiorizzato un’immagine di sé come esseri di serie B al servizio degli uomini, con scarse capacità in ambiti al di fuori dei tradizionali compiti di cura, e hanno tramandato tramite l’educazione questi stereotipi di genere sia alle figlie che ai figli.
Gli stereotipi sui ruoli di genere più comuni sono: “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%), “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%), “è l'uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Nei rapporti affettivi la gelosia è ancora ritenuta un segno d’amore, facendo della possessività l’elemento predominante di molte relazioni, dove il dominio e il controllo sull’altra sono la regola.
Il maschilismo è, dunque, come evidente dai dati riportati, sicuramente molto diffuso e difficile da estirpare, ma non bisogna perdere la speranza e credere fermamente che un mondo diverso sia possibile, grazie alla condivisione della cultura e del rispetto e della libertà.
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