di Greta Camesasca
Sì, sentirsi amati è una bella sensazione, ma non è paragonabile alla soddisfazione indescrivibile che si prova quando un’attività in cui ci si cimenta con il solo scopo di sconfiggere la noia, si trasforma poi una passione incontenibile. È in grado di riempirti le giornate. Di lasciarti ore in trepidante attesa prima di poter finalmente provare le stesse emozioni, che prontamente arrivano senza deluderti. Prende tutto il tuo tempo e tu sei solo felice di concederglielo. Inoltre, trovare l’anima gemella è molto più impegnativo. Per innamorarsi davvero basta abbonarsi a DAZN e guardare in loop i tornei di freccette. Sì, avete sentito bene. Coloro che necessitano di una breve pausa dalla lettura per finire di ridere, sono autorizzati a interrompersi. Quelli che invece già sanno di cosa sto parlando, si meritano un applauso: fanno parte dei pochi eletti.
Ciò che è importante tenere a mente è che tutti i luoghi comuni su questo sport sono falsi. Non è un semplice passatempo da bar per divertirsi in compagnia, è molto più complicato di quanto ci si possa aspettare. Ad esempio, contrariamente a quanto si pensa solitamente, lo scopo del gioco non è totalizzare il maggior numero di punti a parità di lanci. Infatti, i due giocatori che si sfidano partono entrambi da un totale di 501 punti e, tirando tre freccette alternativamente, devono scalare il punteggio fino ad arrivare precisamente a zero. Nel caso uno dei due sforasse, tornerebbe al numero di punti precedente all’ultimo tiro. Un professionista deve quindi essere molto veloce nei calcoli, soprattutto quando la mira non rispetta i piani e una freccia non va a colpire il settore prefissato. È successo persino a Phil Taylor, considerato il miglior giocatore nella storia di questo sport, di sbagliare i conti. Ciò serve a comprendere il livello di difficoltà di certe combinazioni aritmetiche.
Inoltre, il valore massimo non è attribuito al centro, nel gergo tecnico definito “bull’s eye”, o più semplicemente “bull”. La piccola casella più interna nello spicchio del 20 vale infatti 60 punti, mentre al bull ne corrispondono 50. Il punteggio massimo che un giocatore può ottenere con tre freccette è 180, indirizzandole tutte nel 20 triplo. Quando si eseguono le cosiddette “sei frecce perfette”, quindi che si vanno a conficcare nel 20 o nel 19 triplo, si entra in zona check-out con il minor numero di freccette possibile. La zona check-out è composta dai numeri inferiori al 180, con quest’ultimo escluso, che permettono la chiusura della partita. Nel caso in cui un giocatore arrivi alla zona check-out con le sei frecce perfette e riesca a chiudere la partita lanciandone tre, avrà eseguito un emozionante “nine darts finish”. Viene così chiamata la fine della partita con il minor numero di frecce possibile, ovvero 9. Nel mondiale appena concluso, solo James Wade è stato in grado di eseguirlo.
A questo punto, potrebbe sorgere un dubbio: se un giocatore è a 180 di punteggio, perché non può chiudere la partita lanciando le tre frecce nel triplo 20, così da ottenere 180 punti e arrivare precisamente a zero? Ottima domanda. La risposta è molto semplice. Una partita può essere chiusa solo con un bull, quindi mirando il centro, o con una doppia, lanciando quindi la freccia nelle caselline più esterne del bersaglio. Il giocatore deve quindi già calcolare il punteggio con cui vuole effettuare il check-out. Se vuole tentare di centrare il bull, sa che deve rimanere con 50 punti. Se invece gli rimangono ad esempio 32 punti, andrà a mirare il doppio 16, proprio perché non è possibile chiudere la partita con punteggi singoli e tripli.
Ciò che poi attrae è la stranezza dei professionisti. I più conosciuti hanno un soprannome da loro scelto e molte caratteristiche particolari, dallo stile nel vestire, al modo di tirare. Il sopracitato ex campione Phil Taylor era soprannominato “The Power”. L’olandese Michael Van Gerwen, il primo nel ranking mondiale prima del 3 gennaio, è “Mighty Mike”. Lo scozzese Peter Wright, l’ex campione del mondo, è “Snakebite”, mentre Gerwyn Price, il gallese che è uscito vincitore dalla finale mondiale contro Gary Anderson, è “The Iceman”, grazie alla sua imperturbabilità nel momento prima di tirare. Questa caratteristica l’ha recentemente portato ad essere primo nel ranking mondiale e a soffiare il titolo di campione del mondo a Peter Wright. Persone a cui non daresti una lira e invece sono mostri di aritmetica con una mira da cecchini, che fanno sembrare facili anche chiusure particolarmente articolate. Due di queste sono lo “Shangai”, ovvero la chiusura a 120, e il “big fish”, ovvero il check-out a 170, effettuabile solo con due 20 triplo e bull finale.
Un’ulteriore sorpresa riguarda il successo che questo sport riscuote, soprattutto nel Regno Unito. L’Alexandra Palace di Londra, dove hanno luogo i tornei, in tempi normali pullula di appassionati provenienti da tutto il mondo che si truccano e si travestono per mostrare devozione nei confronti dei loro giocatori preferiti. Le gare sono un vero e proprio spettacolo, sia per le entrate in scena da parte dei giocatori, che per le abilità che dimostrano in ogni partita.
Io non sono un’appassionata di calcio e quindi forse la mia prossima affermazione potrà risultare eccessiva alle orecchie di molti, ma le emozioni provate per un big fish sono paragonabili a quelle suscitate da un goal al novantesimo.
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