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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

UN PAESE CHE NON CREDE PIU’ NELLA POLITICA

di Edoardo Gatti

Il 25 settembre scorso le elezioni hanno consegnato l’Italia nelle mani della coalizione di centrodestra, con Giorgia Meloni in procinto di diventare la prima donna della storia del nostro Paese a presiedere il Consiglio dei Ministri. Le elezioni anticipate, che hanno portato alla formazione di un nuovo governo dopo la caduta del mandato Draghi, hanno anche, e soprattutto, registrato la più bassa affluenza alle urne mai annotata prima: ai seggi elettorali si è recato solo il 63,9% degli aventi diritto, con una percentuale di astenuti pari al 37%, circa un italiano su tre. Un dato preoccupante, specchio di un Paese che non sa più da che parte stare, incapace di scegliere, che vive subendo le decisioni prese da altri, sfiduciato dalle istituzioni. E il rapporto tra l’italiano e la politica assume, con il passare del tempo, una fisionomia sempre più complicata, a tratti irrecuperabile.

Un problema, quello dell’astensionismo, che mina la credibilità della democrazia, il cui valore fondante è l’esercizio del diritto di voto. È inconcepibile pensare a un’Italia così disinteressata al destino del proprio Paese. Ma questo non è altro che il risultato di una instabilità, di un clima di costante incertezza, accentuatosi in particolar modo nel periodo storico corrente, ma anche di una bassa consapevolezza del valore della democrazia, di un’assuefazione a libertà che per altri Paesi sono solo un lontano miraggio da raggiungere. Fatto sta che il risultato è un graduale distaccarsi dalla vita politica da parte degli italiani, che fanno sempre più fatica a identificarsi nei vari partiti.

A risentire di questo malcontento generale sono soprattutto i giovani, la cui alienazione alla politica è data dallo scarso interesse a loro riservato nei vari programmi politici, che crea un sentimento di indifferenza crescente: snocciolando qualche dato, si evince che, nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni, i non votanti sono stati il 40% del totale. Riprendendo invece un sondaggio Istat datato 2019, il 27% dei ragazzi tra i 18 e i 19 anni e circa un quarto di quelli tra i 20 e i 24 anni non partecipa definitivamente alle faccende politiche. A questo, si aggiunge anche la questione dei fuorisede (ovvero coloro, studenti o lavoratori, che vivono lontani dal proprio comune di residenza) a cui è precluso il diritto di voto. Inutile poi lamentarsi dell’astensionismo giovanile, se impediamo loro di votare dove vivono.

Arrivati a questo punto, una domanda sorge spontanea: chi riuscirà a risollevare il Paese, a comprendere il disagio della popolazione, a instillare nuovamente l’interesse per la Politica, base per la vita democratica?

È importante però capire che non possiamo solo pensare che siano altri (in particolare le Istituzioni) a farci apprezzare le possibilità democratiche che abbiamo a disposizione, ma dovremmo essere noi a trovare una motivazione, anche osservando Paesi non democratici come Russia, Turchia, Egitto e tanti altri, dove il pensiero libero è vietato, la possibilità di lamentarsi, di cambiare, di scegliere sono precluse.

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