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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

Quel mondo in cui si muore per un “no”

di Angelica Aliprandi


Le statistiche

Scarpette rosse, manifestazioni, flash-mob… Siamo ormai prossimi al 25 novembre, quella che è internazionalmente conosciuta come la giornata contro la violenza sulle donne. Il caso di Giulia Cecchettin, diventato in breve tempo un fenomeno mediatico dalle dimensioni impressionanti, è solo l’ennesimo di una lunghissima serie di tragici eventi che hanno visto uccisa o violata una donna. Ci troviamo, ancora una volta, dinanzi a dati statistici spaventosi: l’OMS ha dichiarato che globalmente, oltre il 30 % delle donne ha subito una qualche forma di violenza da parte di un uomo. Inoltre, i dati di Actionaid riportano che sono circa 22 milioni le spose bambine e 3 milioni, solo in Africa, le donne a rischio FGM (female genital mutilation). Dall’inizio di quest’anno, in Italia, sono stati registrati 82 femminicidi in ambito famigliare e affettivo, di cui 53 per mano del partner o dell’ex.


Le origini di una tale violenza

Pensare alla violenza di genere come un insieme di avvenimenti del tutto sporadici e imprevedibili è alquanto inverosimile. La verità è che questa crudeltà è un fatto culturale, radicato all’interno di un mondo che fece, e fa tutt’ora, dell’indubbia differenza biologica tra uomo e donna una diseguaglianza sociale. Le radici di tale problematica si riassumono efficacemente nella definizione stessa di patriarcato, il quale nacque come una struttura famigliare, quella dominata dalla figura del pater familias, che si è successivamente tradotta di una rigida gerarchia collettiva. Alla luce di ciò, nel corso della storia, la donna è stata privata della possibilità di partecipare alla vita civile e politica, dell’accesso all’ambito artistico e letterario e degli strumenti per farsi pubblicamente portavoce delle proprie esigenze. È da evidenziare anche il contributo della religione nell’evoluzione di quest’ideologia machista: di fatto, nel medioevo, alla donna era associato l’attributo del peccato in quanto incarnava, secondo le superstizioni, la tentazione sessuale e demoniaca. Una serie di fattori ha dunque alimentato quegli stereotipi che hanno condotto non solo all’emarginazione della figura femminile e alla sua stigmatizzazione, ma anche alla normalizzazione di atteggiamenti violenti e superbi nei suoi confronti da parte del sesso maschile. Basti pensare al delitto d’onore, il quale fu abolito solo il 5 agosto 1981: si tratta dell’uccisione, legittimata dalla complicità dello Stato e delle istituzioni legali, di un membro della famiglia, donne e bambini compresi, per motivazioni reputazionali.


La componente culturale

Uno dei pilastri fondanti del costrutto patriarcale è il culto dell’oggettificazione, intesa come l’annullamento dell’autodeterminazione femminile. La donna non è dunque più un essere umano, dotato di tutte quelle doti che lo rendono tale, ma un prodotto passivo in funzione dell’uomo. Si tratta di un processo di alienazione identitaria, uno snaturamento che l’ha costretta a sottomettersi, adattandosi ad un sistema che non la vede partecipe in alcun modo, che non si impegna nel rappresentarla se non come strumento di piacere e possesso. In molti sostengono che il patriarcato sia ormai una fase superata, un brutalità appartenente al passato. In effetti, l’esperienza ci dimostra che l’emancipazione femminile ha portato a numerosi progressi e conquiste che hanno permesso alla donna di integrarsi in una società non più statica, ma in movimento. Eppure, i dati empirici ci pongono dinanzi ad una realtà destabilizzante seppur, purtroppo, non sorprendente: ogni 72 ore, in Italia una donna viene uccisa e, nella maggior parte dei casi, l’omicida è proprio il suo compagno.

Ciò manifesta la tendenza, ancora estremamente attuale, alla prevaricazione, allo sfruttamento e controllo delle azioni e delle scelte intraprese da una donna, considerata indegna della sua indipendenza e della sua umanità.

Ma l’ambito domestico non è l’unico ambiente di pericolo. Si ricordi lo stupro di gruppo consumatosi a Palermo del 7 luglio, come tanti altri casi di violenza sessuale avvenuti per i vicoli delle grandi città, nei bagni delle discoteche, sui mezzi pubblici. Si può parlare di un’evidenza culturale anche in relazione al modo in cui queste vicende vengono affrontate a livello giuridico. “Che cosa indossava?” “Era ubriaca o aveva assunto stupefacenti?” “Cosa ci faceva per strada a quell’ora?”. La propensione del pensiero comune alla colpevolizzazione della vittima e alla deresponsabilizzazione del carnefice rende la denuncia faticosa, tanto quanto la realizzazione dell’accaduto da parte di chi l’ha subito.


Responsabilità collettiva

Dire che tutti gli uomini siano colpevoli dell’altissima percentuale di femminicidi è un’inutile generalizzazione che non fa altro che allontanare i sessi da un margine di coesione. Ciò che è realmente indispensabile è la presa di coscienza comune di quella che è una piaga riguardante l’umanità nella sua interezza e tale consapevolezza può essere nutrita solo da una buona comunicazione tra donne e uomini. Di fatto, il cosiddetto sistema patriarcale, di cui siamo i figli e i creatori, gode di una bi-direzionalità: l’individuo maschile, per quanto privilegiato sotto un certo punto di vista, non è esentato né dalla discriminazione né dalla pressione sociale. “Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso. E forse di più perché ti saranno risparmiate tante umiliazioni, tante servitù, tanti abusi (… ) Naturalmente, ti toccheranno altre schiavitù, altre ingiustizie: neanche per un uomo la vita è facile, sai. Poiché avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesanti, ti imporranno arbitrarie responsabilità. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza. Poiché avrai una coda davanti, ti ordineranno di uccidere o essere ucciso alla guerra ed esigeranno la tua complicità per tramandare la tirannia che instaurarono nelle caverne. (…) Se nascerai uomo, spero che tu diventi un uomo come io l’ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce con i prepotenti, generoso con chi ti vuol bene, spietato con chi ti comanda. Infine, nemico di chiunque racconti che i Gesù sono figli del Padre e dello Spirito Santo: non della donna che li partorì.” (Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato).

La matrice è sempre la stessa, ovvero l’idea che il genere sia un’etichetta, un marchio, un vincolo espressivo, ovvero ciò a cui inneggia la logica misogina, una condotta di pensiero da demolire per la sicurezza e per la salute di uomini e donne. Come dice Umberto Galimberti, siamo tutti un po’ patriarcali, perché tutti nella nostra “piccolezza” abbiamo riso ad una battuta sessista, abbiamo dato della poco di buono ad una donna, abbiamo deriso un uomo che piangeva. C’è bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale: è arrivato il momento, ora più che mai, di mostrare al mondo la nostra umanità.

And if there's war between the sexes

Then there'll be no people left.

(Joe Jackson, Real men, 1982)

 

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