di Gabriella Montali
Marzo è il mese dedicato alla poesia e vale la pena di spendere qualche parola su questo raffinato modo di scrivere, che riflette un pensiero essenzializzato, forte e penetrante.
Le parole contano moltissimo: possono ferire a morte, umiliarti, come abbiamo visto ultimamente sullo schermo internazionale negli scambi verbali irriverenti, sprezzanti fra chi ha il potere e chi difende casa propria e chiede aiuto, umilmente, ma rimane inascoltato.
Ma possono anche metterti le ali, farti coraggio e spaziare oltre i confini, anche se sei recluso, ostacolato dalla siepe di leopardiana memoria.

Per questo vorrei dedicare la poesia Termopili del poeta greco Costantino Kavafis a chi in Ucraina e in tante altre parti del mondo, si trova a lottare per salvare la propria terra e i suoi valori dalla prepotenza dei più forti. Sono solo parole, ma si basano su condivisione di valori che l’Europa ha fatto propri e che ora sembra aver accantonato...
Nella battaglia delle Termopili (480 a.C.), 300 greci di varie polis alleate capeggiate dal re spartano Leonida I si immolarono per difendere la loro terra dall’invasione persiana guidata da Serse I.
La sconfitta dei greci era cosa certa, ma ciononostante, l’esercito greco diede il tutto per tutto per resistere, per dare la possibilità agli altri di organizzarsi e contrattaccare, pur sapendo che era un’impresa disperata. E furono anche traditi per vigliaccheria da uno dei loro che preferiva aver salva la vita piuttosto che morire per certo...
La battaglia durò tre giorni e i Greci, come previsto, persero. Nei mesi successivi i Persiani conquistarono quasi tutta la Grecia, ma il loro dominio durò solo un anno: infatti, furono vinti dai greci sotto il comando di Temistocle, nella battaglia navale di Salamina (479) e successivamente, sempre sul mare, in prossimità di Capo Micale. Quindi furono annientati per terra a Platea in Beozia dal comandante spartano Pausania, nipote di Leonida I e costretti a lasciare la Grecia.
In ricordo di Leonida, caduto alle Termopili, e di coloro che caddero anche nelle battaglie successive, ma che, alla fine, riuscirono a scacciare dalla Grecia gli invasori, alle Termopili si legge ancora oggi un epitaffio del poeta Simonide che recita:
«O straniero, annuncia agli Spartani che qui noi giacciamo in ossequio alle loro leggi»
Ho ritrovato parte di questo epitaffio all’inizio di un famoso racconto di Heinrich Böll, scrittore tedesco e premio Nobel del Secondo Dopoguerra in cui un ragazzino di 18 anni, mandato al fronte dai banchi di scuola si ritrova nella sua vecchia scuola, esattamente nella sua aula, dove l’ultimo giorno di scuola aveva scritto alla lavagna: “Wanderer, kommst du nach Spa...” ossia il primo verso dell’epitaffio, lasciandolo però incompleto: Viandante, se un giorno arriverai a Spa...”
La citazione interrotta acquista un valore simbolico nel contesto della disfatta della Germania hitleriana e anche della vita spezzata di questo giovane, che non si rende conto fino alle ultime righe del racconto di aver perso entrambe le gambe, a causa di una granata e di non avere ora più nulla in cui credere e sperare.
Tutto gli è sembrato fino a un attimo prima come sempre, e poi la tragica verità. Questo suo racconto diventa monito: la legge del più forte si è ritorta contro chi voleva conquistare il mondo, lasciando dietro di sé solo rovine e devastazione. E lo studente-soldato è ritornato a casa a ricordare agli altri che hanno perso, che hanno rovinato la vita di un’intera generazione di ragazzi che, come lui, a causa della guerra, non avranno più un futuro. Vite spezzate come quel primo verso...
Böll è un pacifista convinto, rifiuta la guerra, ma gli chiedo: che cosa bisogna fare se la guerra arriva a casa tua inaspettata, sfonda la porta e prende possesso delle tue cose e ti toglie ogni libertà? Aprire il dialogo di fronte alla Violenza e all’Illegalità? Oppure aspettare che questo stato di sottomissione cessi da sé perché siamo sicuri, come dice Brecht in Misure contro la violenza, che il potere alla fine si autodistrugge e, sempre alla fine, la giustizia trionferà? Quindi lasciamo che accada ciò che la legge del più forte esige, cioè, arrendersi alla fatalità del destino avverso?
Il poeta greco Costantino Kavafjs non ha dubbi e scrive in risposta questi versi, che potrebbero essere anche detti da un Ciro Menotti del Risorgimento italiano:
Onori a quanti nella loro vita
Si fecero custodi delle Termopili.
Senza mai venir meno a quel loro dovere.
Integri e giusti nelle loro azioni,
ma sempre con pena e compassione;
generosi se ricchi, e generosi
sia pur con poco se indigenti,
soccorrevoli quanto possono:
pronunciando sempre la verità,
ma senza detestare i mentitori
E sono degni di più grande onore
Se prevedono (e molti lo prevedono)
Che all’ultimo comparirà un Efialte*
E comunque i Persiani passeranno.
(*il traditore che ha rivelato il piano di difesa delle Termopili)
Agli Ucraini e a tutti coloro che sempre cercarono e anche oggi cercano di fare tutto quanto è in loro potere per salvare la loro terra e la loro dignità di uomini liberi, vanno questi versi consolatori.
Invece, l’epitaffio di Simonide va a noi Europei, i moderni destinatari del messaggio di resilienza e del sacrificio degli Spartani e degli Ucraini, a noi, moderni Don Abbondio, che abbiamo scordato che “Il soffrir per la giustizia è il nostro vincere” (Promessi Sposi, capitolo XXV), che sediamo comodi nelle nostre case e che abbiamo dimenticato, nella pigrizia del benessere e nella cura del nostro tornaconto, che cosa significhi avere valori da difendere e coltivare; in primis, la libertà di scrivere, pensare e realizzare i propri sogni.
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