di Elena Battista
Notizia da prima pagina per svariati giorni è ciò che si è scatenato a seguito del Rave di Modena. Ma cosa è successo precisamente? Alcuni giovani avevano organizzato un evento illegale di musica in un capannone abbandonato in vista di Halloween. Alla festa mancavano i presìdi di sicurezza necessari e lo stesso capannone era considerato pericolante e non a norma. Le forze dell’ordine sono, quindi, intervenute permettendo ai 1300 partecipanti di lasciare il rave pacificamente.
Qualche giorno più tardi il governo Meloni ha firmato il suo primo decreto che punta a contrastare il “vero problema” del Paese: i rave party. In realtà, la norma è ritenuta da molti troppo generica perché la parola Rave non compare da nessuna parte, suscitando così dibattito e polemiche.
Ma partiamo dal principio: cos’è un Rave party? Un Rave è un raduno musicale nato alla fine degli anni ‘80. Trattandosi di raduni non autorizzati, clandestini, hanno sempre suscitato clamore. Essi si basano infatti sull’invasione di una proprietà pubblica o privata, col timore di libera circolazione di droghe e disturbo alla quiete pubblica per la musica molto alta.
Ma ritornando a noi, ecco cosa prevede il decreto “anti-rave”: all’articolo 5 “norme in materia di occupazione abusive e organizzazione di raduni illegali” sarà aggiunto un nuovo articolo, nominato 434-bis, per punire “l’invasione di terreni o edifici pubblici o privati” che possa rappresentare un pericolo per l’ordine, l’incolumità o la salute pubblica, da parte di gruppi da più di 50 persone. Sono stabilite anche le pene per chi organizza: da 3 a 6 anni di reclusione e multe da mille a 10 mila euro con anche la confisca di tutto il materiale utilizzato durante il raduno.
Le polemiche fanno leva in particolare sulla possibilità che questa norma venga usata per punire altri tipi di raduni pacifici, in quanto in nessun punto del testo si parla specificatamente di “feste“ o di “musica”.
Questo decreto è stato definito, infatti, da alcuni come una norma liberticida, sottolineando che essa appaia come uno strumento di repressione. Infatti ogni volta che qualcuno, ad esempio, protesta, riunendosi in più persone in un edificio pubblico, potrebbe rientrare in questa norma.
Ma poi, non si capisce quali siano i casi concreti nei quali si realizza il crimine indicato, perché chi stabilisce se si è messo in pericolo l’ordine pubblico?
Inoltre, il Codice Penale presenta già questo tipo di reato: nell’articolo 633 si afferma che “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, […] al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito […] con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 103 a 1032 euro”. Già sulla base di questo articolo, quindi, atti vandalici e pericolosi erano puniti, con anche altre ipotesi di reato che possono riguardare questi fenomeni, come per esempio il danneggiamento. Ma quindi che senso ha questa norma?
L’ultima polemica riguarda la pena apparentemente sproporzionata; il comma 2, infatti, inserisce questo nuovo reato nel codice antimafia insieme ad altri reati, che dovrebbero essere di pari serietà, come l’associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e sequestro di persona a scopo di estorsione.
Per concludere si potrebbe dare un occhio a come hanno affrontato gli altri Paesi la questione “rave”. Se prendiamo come riferimento la Francia, nel 2001 è stata votata la legge Mariani in cui, a differenza di quella italiana, si fa esplicito riferimento a “eventi festivi di carattere musicale con diffusione di musica ad alto volume“, dove prendono parte più di 500 persone. Essa prevede multe fino a 3500 euro e solo in caso di disturbo intenzionale della quiete pubblica si rischia un anno di carcere e una multa fino a 15 mila euro. Qui la norma è chiara e, effettivamente, si riferisce solo ai rave.
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