di Elena Battista
L’8 marzo è la giornata dedicata ai diritti delle donne e al ricordo delle loro conquiste sociali, politiche ed economiche, è perciò giusto riportare alla memoria le figure femminili che, grazie al loro coraggio, hanno segnato la storia. Una di queste è sicuramente Anna Politkovskaja: nata a New York nel ’58 da due diplomatici ucraini, è stata una sostenitrice della democrazia e una giornalista russa celebre per il suo impegno verso i diritti umani. Apprezzata anche all’estero per la sua indipendenza, quando passa al giornale “Novaja Gazeta”, inizia a pubblicare inchieste scomode svelando gli orrori della Cecenia e criticando senza mezzi termini gli abusi di potere del governo e dell’esercito russo. Essa evidenziò, e si vece portavoce per chi non lo poteva vedere coi propri occhi, del regresso antidemocratico del suo Paese e l’ascesa spaventosa al potere di Putin. Durante la sua carriera si recò spesso in Cecenia per documentare i massacri, mostrandosi al fianco dei civili e delle famiglie delle vittime, visitando gli ospedali e le scuole e intervistando sia i militari russi che i civili ceceni. Intervenne in alcuni attentati nelle vesti di mediatrice, come quello al Teatro Dubrovka di Mosca, che terminò con l’irruzione delle forze speciali di Putin e la morte di molti civili. Iniziò molto presto a ricevere minacce di morte: nel 2004, in un viaggio verso Beslan, fu colta da un malore e scoprì più tardi d’essere stata avvelenata. Questo tentativo alla sua vita, però, non riuscì a fermarla, anzi, la spinse a impegnarsi ancor più nella causa perché ormai assolutamente certa d’essere dalla parte dei giusti.
La Politkovskaja diventò una critica sempre più serrata e una voce scomoda per il governo russo; venne quindi uccisa il 7 ottobre del 2006 a colpi di pistola davanti al suo portone mentre tornava dal supermercato. Entrando nel palazzo prese l’ascensore, ignara d’essere seguita, depositò le buste in casa, e ritornò a recuperare le ultime cose che aveva lasciato in auto. Il sicario, però, la aspettava al piano terra e quando Anna aprì la porta, fu colpita da 4 proiettili a rapida successione e uno alla testa. La solidarietà da parte dei cittadini di Mosca fu impressionante; il giornale dove lavorava fu sommerso da telegrammi e attestati di solidarietà, e i suoi lettori affollarono e riempirono l’ingresso di casa sua con fiori e candele per 40 giorni.
Per molti, con lei è morta la speranza che la Russia potesse diventarei uno stato democratico rispettoso dei diritti umani e allineato agli standard europei. Sulla carta, il PPaese dovrebbe essere uno stato democratico federale, ma gli organismi internazionali e non governativi lo ritengono un regime autoritario. Nel 1993 è stata approvata una nuova costituzione, in linea con quelle occidentali: protegge i diritti umani fondamentali, come la libertà di espressione e di associazione, e divide il potere in legislativo, esecutivo e giudiziario. Allora cos’è andato storto in Russia che ci ha portato alla situazione attuale? In un solo nome: Vladimir Putin, da molti ribattezzato “l’ultimo zar”. Quando Putin arrivò al potere nel 2000, trovò un paese allo sbando e riescì a farsi nominare primo ministro dopo che tutti i suoi oppositori furono morti in circostanze ignote. Una delle sue prime mosse fu prendere il controllo dei due media indipendenti più popolari della Russia: Ort e Ntv. Da qui nasce un lento e progressivo accaparramento della diffusione di informazioni, con il controllo delle tv nazionali e di una grande parte dei quotidiani. Nel 2008 dovette rinunciare alla presidenza a causa del limite dei mandati, così mandò al suo posto Dimitri Medvedev, considerato un suo sostenitore, e riprese il potere nel 2012 facendo modificare la costituzione. Nel dicembre 2021 ha accelerato altre riforme secondo le quali i poteri dello Stato sono nelle mani del presidente. È dunque evidente che, anche se non si può ancora definire la Russia una dittatura, ci si sta avvicinando sempre di più.
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