di Gioia Belloni
Sono diverse settimane che girano sui tutti i social media immagini, vignette, video riguardanti la terrificante tragedia che sta accadendo in Australia in questo momento. Come ogni avvenimento che provochi un minimo di scalpore, anche questo fatto ha generato la circolazione di fake news in internet. Giorgio Vacchiano, ricercatore in selvicoltura e pianificazione forestale dell’Università degli Studi di Milano, spiega in un suo articolo tutto ciò che è dato sapere sulla situazione australiana.
Per quanto riguarda l’estensione degli incendi, hanno investito, da ottobre a oggi, circa 8 milioni di ettari di territorio tra New South Wales, Victoria, Sud Australia e Queensland, una superficie doppia a quella degli incendi del 2019 in Siberia e in Amazzonia combinati, e pari ai quattro quinti di tutte le foreste italiane. Un altro aspetto inedito è la simultaneità dei fuochi su territori enormi, che di solito si alternano nell’essere soggetti a incendi. E non siamo che all’inizio dell’estate (le stagioni in Australia sono spostate di sei mesi rispetto alle nostre, quindi ora è come se fosse l’inizio di luglio per noi), perciò queste cifre saliranno ancora, potenzialmente fino a 15 milioni di ettari percorsi dal fuoco. L’Australia è grande 769 milioni di ettari, quindi non possiamo dire che stia “bruciando un continente”, anche se le parti effettivamente abitate sono concentrate sulle coste, dove, appunto, si trovano per lo più gli incendi.
L’argomento che maggiormente ha scatenato la circolazione di notizie false sui social è quale sia l’effettiva causa di questi incendi. Stanno circolando notizie relative all’arresto di presunti incendiari, motivazioni che, in parte, servirebbero per negare il problema del clima.
Tuttavia è evidente che qui il problema non è cosa accende la fiamma, ma cosa la fa propagare una volta accesa, sono due fasi diverse e ben distinte.
Metà delle accensioni sono causate da fulmini e metà dall’uomo, per cause sia colpose che dolose. Gli incendi più grandi tendono tuttavia a essere causati dai fulmini, perché interessano le aree più remote e disabitate, dove è meno probabile che arrivino le attività umane.
Ora vediamo qual è la causa della propagazione di questi incendi: il 2019 è stato, in Australia, l’anno più caldo e più secco mai registrato dal 1900 a oggi. Quando l’aria è calda e secca, la vegetazione perde rapidamente acqua per evaporazione e si dissecca. Più la siccità è prolungata, più grandi sono le dimensioni delle parti vegetali che si seccano. Quando anche le parti più grandi (fusti e rami) perdono acqua, cosa che avviene molto raramente, gli incendi possono durare più a lungo proprio come in un caminetto: i “pezzi” piccoli sono quelli che fanno accendere il fuoco, e quelli grandi sono quelli che bruciano per più tempo.
Il bush australiano è un ambiente che desidera bruciare con tutte le sue forze, e bruciando migliora il suo stato di salute e la sua biodiversità. Anche gli animali conoscono il pericolo e molti sanno rispondere: la stima di mezzo miliardo di animali coinvolti (o addirittura un miliardo) rilanciata dai media è una stima grossolana e un po’ allarmista, che considera ad esempio anche gli uccelli che ovviamente possono volare e allontanarsi dall’area, con l’importante esclusione dei piccoli e delle uova. Gli animali più piccoli e meno mobili (koala, ma anche anfibi, rettili) possono effettivamente non riuscire a fuggire, e questi habitat saranno radicalmente modificati per molti anni a venire, perciò molti animali non troveranno più condizioni idonee. Altri, in compenso, ne troveranno addirittura di migliori. È un fenomeno noto in Australia quello per cui alcuni falchi sono in grado di trasportare rametti ardenti per propagare attivamente gli incendi su nuove aree, liberando così la visuale su nuovi territori di caccia.
Gli incendi invece possono creare forti minacce alle specie rare di piante e sono soprattutto molto problematici per l’uomo: si contano già 25 vittime, il fumo rende l’aria pericolosa da respirare, proprietà e attività sono andate distrutte per miliardi di dollari di danni. In più, gli incendi creano erosione, aumentano il rischio idrogeologico e rischiano di rendere a loro volta ancora più grave la crisi climatica sia a livello globale, contribuendo all’aumento della CO2 atmosferica, che locale, depositando i loro residui sui ghiacciai neozelandesi che, resi così più scuri, rischiano di fondersi con maggiore rapidità.
Molte critiche si sono concentrate sul governo australiano, responsabile di non impegnarsi abbastanza per raggiungere i già modesti impegni (riduzione delle emissioni del 28 per cento dal 2005 al 2030) che il paese aveva contratto volontariamente agli accordi a Parigi. Il problema principale è che l’economia dell’Australia è fortemente basata sull’estrazione e l’esportazione di carbone, un combustibile fossile la cui estrazione non è compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di Parigi per contenere la temperatura della Terra al di sotto di 1.5 °C rispetto all’epoca preindustriale. L’attuale governo conservatore, come in altre parti del mondo, è tendenzialmente restio a decarbonizzare l’economia nazionale. Tuttavia non occorre confondersi: ogni nazione è connessa a ogni altra. Gli incendi in Australia non sono solo responsabilità del primo ministro Morrison o di chi l’ha eletto, ma di tutte le attività che nel mondo continuano a contribuire all’aumento della CO2 atmosferica: produzione e consumo di energia, trasporti, agricoltura e allevamento, riscaldamento e raffrescamento domestico e deforestazione, tutte cose di cui è responsabile ognuno di noi.
A questo punto sorge spontanea la domanda: “Ma quindi cosa possiamo fare noi per migliorare a situazione?”. Questa la risposta dello scienziato Vacchiano: “Ridurre le nostre emissioni con comportamenti collettivi e ad alto impatto. Sforzarci di vedere l’impronta del climate change e delle nostre produzioni e (soprattutto) dei nostri consumi in quello che sta succedendo. Il problema più grande che abbiamo è questo. I koala sono colpiti duramente, ma domani toccherà ancora ad altri animali, altri ecosistemi… altri uomini. E forse anche a noi. Per chi vive a contatto con un bosco, informarsi sul pericolo di incendio e sulle pratiche di autoprotezione necessarie a minimizzare il rischio alla vostra proprietà: gli incendi colpiranno di nuovo anche in Italia, con sempre più intensità, e possibilmente in luoghi in cui non ve li aspettereste. Sapersi proteggere è estremamente importante”.
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