di Gabriella Montali
La parola educazione deriva dal verbo latino ex ducere che vuol dire “tirare fuori, estrarre”, esattamente come in tedesco erziehen; quindi, educare un bambino o a un adolescente significa portarlo a riconoscere un seme che è già insito in lui in quanto essere umano e che va solo “accudito” perché cresca sano e vigoroso. Questo seme, poi, darà i suoi frutti se ben coltivato e sboccerà trasformandosi in rispetto per la natura e la persona, amore per la bellezza, responsabilità nei confronti della comunità e bisogno di giustizia. Se l’educazione che si impartisce a casa e a scuola avessero come obiettivo primario lo sviluppo di questo seme, ciò sarebbe ampiamente sufficiente per dare a ciascuno di noi gli elementi per gestire qualsiasi tipi di relazione umana, anche le più intime.
Per realizzare questo obiettivo educativo a lungo termine non c’è bisogno di una materia specifica, che potrebbe diventare anche molto noiosa nella sua monotematicità oppure relegata a quegli incontri comunitari in aula magna dove di solito gli studenti non stanno molto attenti – Tanto non c’è alcuna ricaduta scolastica né verifica - : basta che ogni genitore nella prassi quotidiana vi faccia riferimento e ogni insegnante scelga appositi testi che provochino una riflessione su argomenti umani fondamentali. Nell’Odissea e nella Divina Commedia, per esempio, oppure nei Promessi Sposi del Manzoni, ci sono tantissimi spunti che fanno riflettere sulle debolezze umane, sulla giustizia, ma anche sull’amore. E gli esempi si moltiplicano all’infinito se si studiano anche testi in lingua straniera. Pensate ai grandi temi del teatro di Shakespeare: l’onore, l’amore, la gelosia, la rivalità, il potere, pensate al dramma interiore di Anna Karenina o di Effi Briest a confronto col modo di agire di Madame Bovary e via dicendo.
Fra i problemi e/o valori esistenziali persistenti della vita umana c’è, come si diceva, anche l’amore, che riveste un ruolo fondamentale in tutte le letterature di qualsiasi lingua e di qualsiasi tempo, senza parlare poi dell’opera, delle canzoni della musica leggera, pop, rock, ecc. e delle arti figurative, cioè la pittura e la scultura, dove rimaniamo stupiti di fronte alle infinite varietà in cui l’amore viene raffigurato. Per fare solo alcuni esempi: pensate alla mirabile rappresentazione dell’amore casto di Amore e Psiche stanti del Canova, in cui Psiche viene fissata nell’attimo in cui regala ad Amore una farfalla, correlativo oggettivo della sua anima. – E notate la delicatezza del tocco delle dita di Psiche che sanno della fragilità delle ali della farfalla e non vogliono assolutamente rovinarle.
Pensate all’abbraccio sensuale fra Amore e Psiche in un’altra statua del Canova dove la carica erotica si sublima nella bellezza armonica delle posture che sembra sollevare i due amanti da terra verso il cielo.
Pensate, infine, alla statua di Apollo e Dafne del Bernini, in cui la ninfa tenta, terrorizzata, di sfuggire alle avance del dio follemente innamorato di lei e che ad ogni costo la vuole fare sua; ma Dafne ha donato la sua virginità alla dea Artemide, cui vuole restare fedele e non vuole cedere ad Apollo. Per sfuggire allo stupro del suo inseguitore, che l‘ha già raggiunta, disperata, Dafne invoca sua madre Gea, dea della terra, perché la salvi e quest’ultima, la trasforma in un albero di lauro mentre lei sta ancora correndo.
Già solo il confronto di questi tre capolavori ci fa riflettere su che cosa sia l’amore vero: un sentimento interiore intensissimo che unisce non solo i corpi, ma anche le anime, quando viene condiviso e che eleva ben sopra la fisicità del possesso del corpo. A questo amore, agape (= l’amore donativo per i greci) e eros (=l’amore come passione e possesso) insieme, si frappone l’amore “folle”, solo eros, un sentimento passionale, violento, incontrollabile che può finire per uccidere la persona amata, se non c’è assenso, o rendere chi ne è posseduto estremamente triste e sconsolato. Come dice Saffo in alcuni suoi versi memorabili:
Scuote l'anima mia Eros | come vento sul monte | che irrompe entro le querce | e scioglie le membra e le agita, | dolce, amaro, indomabile serpente.
Essere educati ad amare come Psiche e Amore è un processo complicato, un avvicinamento graduale delle anime e anche dei corpi, ma questo tipo di amore è l’unico che merita il nome di “umano”.
Anche nel regno animale esiste, in effetti, l’amore e il rispetto: i maschi, quando arriva la stagione degli amori, sfoggiano tutte le loro arti seduttorie con balletti rituali, ostentazione di colori, richiami particolari per farsi notare dalle femmine oppure usano il sovrappiù di testosterone che hanno in corpo per lottare con altri maschi e conquistarsi il favore delle femmine del branco. E, si badi bene: nessun maschio “stupra” la femmina con la quale si vuole accoppiare, ma aspetta che sia lei a concedergli di avvicinarsi. Tuttavia, nel mondo animale, l’amore è fortemente legato all’istinto di procreazione e spesso, dopo l’accoppiamento, in molte specie svanisce, ma non in tutte: ci sono uccelli come le oche, che rimangono insieme per tutta la vita, lo stesso fanno gli elefanti e i pinguini, per citarne solo alcuni. Ma a parte queste manifestazioni di affetto e cura reciproca, che vanno ben al di là del puro bisogno riproduttivo, ciò che manca agli animali è la carica spirituale che provoca l’alchimia dell’amore umano, se è veramente tale.
Gli innamorati cantano, ballano, scrivono poesie, in una parola: improvvisamente nutrono pensieri “alati” e volano “tre metri sopra il cielo”, tanto per dirla col titolo di uno dei romanzi di Federico Moccia. L’amore è una potenza salvifica in generale, non solo in senso religioso. Pensate ad Ungaretti che, in trincea, con di fianco il volto “digrignato” di un compagno morto fra atroci sofferenze scrive:
Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione delle sue mani / penetrata /nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore.
Senza conoscenza del vero amore, l’uomo non può sopravvivere, ma non solo...
Il sommo poeta tedesco Goethe, scappato dalla grigia e noiosa Weimar in cerca di nuova ispirazione, ritrova a Roma se stesso innamorandosi nuovamente, e questo amore libero da ogni convinzione è una cosa così dolce e bella che riaccende in lui l’ispirazione poetica, tant’è che, appena fatto l’amore, accarezzando la schiena di lei, le sue mani scandiscono nuovi versi:
Wird doch nicht immer geküßt, es wird vernünftig gesprochen, Überfällt sie der Schlaf, lieg’ ich und denke mir viel.Oftmals hab’ ich auch schon in ihren Armen gedichtet Und des Hexameters Maß leise mit fingernder Hand,Ihr auf den Rücken gezählt. Sie atmet in lieblichem Schlummer Und es durchglühet ihr Hauch mir bis ins Tiefste die Brust.
(Non si bacia già sempre, si fan pur dei discorsi sensati; / E s'ella al sonno cede, allora, sdraiato medito molto, / Spesso ho già composto versi fra le sue braccia/ E con agile mano ho scandito sulla sua schiena l'esametro./ Ella alita dolce, nel sonno leggiero, e nel fondo / Più segreto del petto l'alito suo m'infoca.
Il vero amore nobilita, mette le ali alla parte migliore di ciascuno di noi. E qualsiasi sia l’oggetto e il soggetto di questo amore, non dobbiamo condannarlo, ma comprendere che soltanto attraverso l’amore che é agape e eros insieme, possiamo trarre inspirazione ed elevarci e testimoniare la nostra umanità. Perché il vero amore poi, a poco a poco, si espande e abbraccia tutto ciò che ci circonda e ci fa vedere il mondo con altri occhi. Se mi posso permettere di dirlo in versi, amare significa, alla fine:
Con occhi nuovi
guardare
il mondo di sempre.
E con la meraviglia
nel cuore
vedere
in ogni cosa
bellezza.
Questo, mi sembra, il miracolo che l’amore compie, e questa è l’unica semplice verità che bisognerebbe continuamente ribadire in qualsiasi modo, in qualsiasi disciplina: l’essere umano è fatto sì per conoscere (Ulisse dice nella Divina Commedia: “Fatti non foste per viver come bruti, ma per servir virtute e conoscenza”), ma non c’è vera conoscenza senza amore, e non c’è vero amore senza rispetto della persona che si ama.
Quando questo non succede, allora si tocca il livello più infimo dell’esistenza.
E allora mi chiedo: quale diseducazione c’è stata finora per scambiare l’Amore vero con il desiderio di stupro e porno, due modi di rapportarsi con l’altro/a che neanche nel regno animale vengono praticati?
Che cosa abbiamo combinato noi adulti per far sì che molti giovani e giovanissimi – per fortuna non tutti! - abbiano smesso di credere nell’amore vero e/o abbiano rinunciato ad amare veramente e si accontentino della pornografia per soddisfare i loro istinti sessuali?
Per tutte le ragioni indicate sopra, come vecchia insegnante, sono molto perplessa sull’inserimento di una “educazione sessuale” nel curriculum. Si dovrebbe pensare piuttosto a una educazione sentimentale, con una profonda revisione dei contenuti delle materie esistenti introducendo consciamente nuovi testi a discapito di altri per parlare anche dell’amore vero come valore universale, e non solo come valore religioso cristiano - che da sempre censura la parte erotica di questo sentimento - oltre che delle forme della sessualità e della violenza sessuale che sta dilagando a tutti i livelli sociali e comprende tutte le età.
E mi sento di fare anche una proposta veramente ardita: perché, anziché continuare ad aggiungere discipline e costringere sempre più ore le nuove generazioni sui banchi di scuola, non si pensa a ridurre e approfondire solo alcune discipline negli gli ultimi tre anni delle superiori, in modo tale da insegnare di più a riflettere sui valori fondamentali che regolano l’esistenza umana e a preparare il terreno alla scelta di studi post-diploma?
Un vecchio proverbio ci ricorda che “Il troppo stroppia”.
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