di Hiba Founoun
Il 16 settembre scorso è stato l’anniversario della morte di Mahsa Amini, la ventiduenne di origine curde-iraniane uccisa brutalmente dalle continue percosse subite dalla “polizia della morale” dopo essere stata arrestata per non aver indossato il Hijab correttamente. La morte della giovane donna ha scatenato in Iran una grande ribellione sociale, una serie di proteste a livello nazionale, dove migliaia di donne e uomini scendevano nelle strade di Teheran con il fine di farsi sentire dal regime integralista islamico. Una costituzione teocratica quella imposta dal leader supremo Ruhollah Khomeini, che il 3 dicembre del 1979 rovesciò la monarchia e portò all’istituzione della repubblica islamica basata sui principi e fondamenti della Sharia, ovvero la legge divina islamica, portando all’abolizione e alla riduzione di vari diritti delle donne ottenuti durante il periodo monarchico. La costituzione impose per l’appunto l’obbligo di indossare il Hijab oltre le mure domestiche, descritto come uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana, ma ridotto ad un semplice pezzo di stoffa privo del grande valore simbolico islamico e divenuto dunque emblema non più di una questione religiosa, ma un vero e proprio simbolo di oppressione, oggetto di un grande scontro politico e sociale.
“Jin, Jîyan, Azadî, in italiano “Donne, vita, libertà”, inno non solo tra le strade iraniane, ma anche in moltissimi altri paesi, sensibilizzati dall’ingiusta morte della giovane donna, migliaia di persone offrirono sostegno e conforto alle donne iraniane persino via social media, il che portò le stesse autorità iraniane a bloccare e limitare l’utilizzo di internet.
Le proteste purtroppo hanno portato a continui arresti arbitrari, torture, stupri, abusi e persino alla morte di moltissime altre coraggiose e forti donne alla riscossa dei propri diritti, delle proprie libertà e della propria voce.
L’Amnesty International, organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani, afferma in un rapporto del 2019: “Le donne hanno continuato ad affrontare una radicata discriminazione sia nell'ambito del diritto di famiglia sia del codice penale, in relazione a questioni come matrimonio, divorzio, impiego, eredità e assunzione di cariche politiche.”
La condizione delle donne infatti è sempre più degradata, in seguito alle proteste le autorità hanno introdotto misure immorali e discriminatorie. L’anno scorso, infatti, i Ministeri della Salute e quello dell’Istruzione del paese hanno annunciato di non offrire più servizi come istruzione e cure mediche a donne svelate (in un paese in cui le donne rappresentano circa il 50% dei laureati). Le autorità hanno vietato l’acceso ai servizi bancari e ai trasporti pubblici e dato il via alla chiusura di attività commerciali nelle quali dipendenti e clienti non indossavano l’hijab.
Nika Shakarami, Asra Panahi, Sarina Esmailzadeh, Hadis Najafi sono solo alcuni dei nomi di grandi donne che hanno pagato con la proprie vite il grande destino delle future donne iraniane, sperando in un futuro prossimo libero da spietati divieti e da immorali costrizioni.
L’incredibile resilienza e l’audacia delle donne iraniane, nonostante le infinite difficoltà e ostacoli, hanno portato a un fatto straordinario: il 6 ottobre 2023, Narges Safie Mohammadi, grande attivista iraniana, ha vinto il premio Nobel per la Pace per aver combattuto contro l’oppressione delle donne in Iran e per aver lottato per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti. La donna, vicepresidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, ha ricevuto la notizia in carcere in quanto ancora imprigionata dal maggio 2016 dalla autorità iraniane. Il comitato per il Nobel ha affermato che "la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali”. Il regime iraniano l'ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate". Non sono state le condanne, le pene corporali, l’incomprensione altrui a fermare la donna; lei, così come tante altre donne nel mondo, non smetterà mai di lottare contro l’ingiustizia, la disumanità e l’odio al fine di poter un giorno vivere libera in un mondo migliore.
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