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  • Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

CARICO RESIDUALE, persone o cose?

di Alessandro Marceca

Carico residuale, questo è il termine con cui ci si è riferiti ai migranti a bordo delle Ong Geo Barents di Medici senza frontiere e Humanity 1 della Sos Humanity, nel decreto firmato dal ministro degli interni Piantedosi, persone alle quali, a seguito di uno sbarco parziale e selettivo, era stata negata la possibilità di scendere.

La vicenda si è conclusa il 9 novembre con l’intervento dell’autorità sanitaria, che ha disposto lo sbarco di tutti coloro che erano rimasti a bordo dichiarandoli fragili sulla base di possibili rischi di problemi psicologici.

Le controversie politiche, come sempre quando si parla d’immigrazione, sono state molteplici, sfociando nel solito circo dove le discussioni vertono sui meccanismi di solidarietà tra Stati sulla base di “numeri freddi”, numeri di persone che tendono a essere assimilate nell’immaginario comune quasi più a cose che non a esseri umani.

Di questa distorta visione della realtà è esempio emblematico appunto il termine carico residuale, termine che rimanda all'immagine della merce e non di uomini in carne e ossa.

Ci troviamo dunque di fronte ad un uso di vocaboli ed indicazioni che non hanno alcuna attinenza con la realtà dei fatti; c’è chi ha ribattuto allo sdegno per l'utilizzo di un tale lessico sostenendo che si tratti di pura speculazione sulla semantica e di un'esasperazione del politicamente corretto. In fondo, sono solo parole, perché non concentrarsi sui "problemi veri"?

Per rispondere a questa domanda possiamo "prendere in prestito” le parole dell’autore di 1984 George Orwell: “Se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero.”

Ma Orwell non è stato l’unico intellettuale a mettere in guardia dal potere detenuto dalle parole, guardiamo quello che Freud per esempio scrive a riguardo: “Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente.”

Le parole plasmano ed influenzano il modo di pensare di una società tanto quanto ne sono lo specchio. Ecco dunque perché il linguaggio usato dal ministro degli interni non è un "errorino da nulla”, bensì una chiara esemplificazione dell'approccio che spesso è tenuto nei confronti del "problema migratorio”, di cui tanto si parla, tanto si discute, al punto che spesso se ne rimane assuefatti, dimenticandosi che dietro ai nostri dibattiti ci sono persone cariche di storie e spesso sofferenze alla ricerca di un futuro migliore in Europa, per sé e per le proprie famiglie.


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