di Paola Fumagalli e Francesco Bonfanti
Venerdì 2 dicembre, insieme ai docenti e agli studenti che hanno aderito al progetto “Teatro di prosa”, abbiamo assistito, presso il teatro “Grassi” di via Rovello a Milano, al secondo spettacolo del programma: Arlecchino servitore di due padroni, testo di Carlo Goldoni e regia del drammaturgo cui è intitolata la sede principale, in largo Greppi, del Piccolo Teatro, vale a dire Giorgio Strehler.
Originariamente Goldoni stese un canovaccio dal titolo Il servitore di due padroni, a partire dal quale, secondo la tradizione della Commedia dell’arte, un celebre attore del tempo recitava improvvisando. Successivamente, però, secondo il graduale progetto di riforma del teatro che andava elaborando, il commediografo scrisse l’intero copione dell’opera e la modificò parzialmente, costringendo gli attori a studiare a memoria le battute, a non recitare più a braccio e ad eliminare i consueti intermezzi di interazione improvvisata con il pubblico.
Lo spettacolo che è andato in scena venerdì 2 dicembre al Teatro Grassi non rispecchia, però, questa versione “riformata” e ciò è evidente sin dal titolo, che non è più, come nell’originale di Goldoni, Il servitore di due padroni, ma Arlecchino servitore di due padroni, con l’esplicita reintroduzione di una maschera della Commedia dell’arte.
La versione di Giorgio Strehler del capolavoro di Goldoni ha una lunga storia: è andata infatti in scena per la prima volta nel lontano 1947 presso il Piccolo Teatro di Milano e, da allora, ha collezionato una serie interminabile di successi; dalla prima rappresentazione ad oggi si contano circa 2200 repliche, realizzate in ogni parte del mondo, dalle Americhe alla Cina.
Quando decise di rappresentare l’Arlecchino, Strehler non era tanto interessato a Goldoni, quanto piuttosto al mondo delle maschere e della Commedia dell’arte, alla messa in scena di un’opera celeberrima della drammaturgia nazionale e a inserire uno spettacolo lieto e spensierato nel cartellone del Piccolo teatro. Ecco allora che abbiamo un curioso paradosso: la riforma teatrale auspicata ed elaborata nel corso di un’intera carriera da Goldoni prevedeva il superamento e l’abbandono delle maschere della Commedia dell’arte: il successo di Arlecchino servitore di due padroni ha invece contribuito ad eternare la fama del teatro italiano, legandone la gloria proprio alle maschere che Goldoni avrebbe voluto eliminare dalla scena.
Difficile ancor oggi non rimanere colpiti dalle formidabili prove di bravura della maschera principale, il protagonista Arlecchino (alias Enrico Bonavera), che ha intrattenuto il pubblico con spassosissimi giochi e battute; le sue improvvisazioni e la sua gestualità estremamente efficace, unite alla maestria di tutti gli altri attori in scena hanno dimostrato ampiamente quanto possa essere ancora vitale la Commedia dell’arte; per tutti gli studenti lo spettacolo è stata un’occasione unica per scoprire come una forma d’arte apparentemente artificiosa e superata, specie se studiata fra i banchi di scuola, possa trasformarsi, se riportata sul palcoscenico da un grande maestro del teatro del Novecento, in un’opera dal fascino irresistibile.
Al di là dei mutevoli gusti del pubblico e delle misteriose cabale che determinano la fortuna degli spettacoli, abbiamo trascorso tre ore di spassoso intrattenimento, e siamo davvero usciti spensierati e deliziati dal teatro: lontane per un qualche tempo le cure di ogni giorno e perfettamente risolte e composte, almeno sulla scena, le irriducibili contraddizioni della vita.
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