di Francesca Maria Rossi
14 settembre 2020: primo giorno del mio ultimo anno di superiori. Era la prima volta, in cinque anni, che attendevo con ansia quel giorno e forse all’inizio nemmeno riuscivo a spiegarmene la ragione. Nel periodo di quarantena la scuola aveva cercato di colmare la distanza con le lezioni in DAD, affinché nessuno rimanesse indietro nei programmi, e per quanto all’inizio mi era sembrata un’occasione per vivere la scuola meno faticosamente, ben presto mi furono chiari tutti gli aspetti negativi di questa nuova didattica, primo fra tutti il rapporto tra noi ragazzi.
Il primo giorno ero dunque ansiosa di rivedere i miei compagni, la mia classe e “perfino” i miei professori: nonostante le misure di sicurezza da rispettare, tutto sembrava avere un profumo di normalità, che tanto mi era mancato in questi mesi. Non nascondo che all’inizio è stato difficile riadattarsi a questa nuova normalità, soprattutto perché, se da una parte la pandemia appena vissuta ci aveva lasciato un certo timore per il virus, dall’altra parte noi ragazzi avevamo voglia di riprendere a pieno le nostre vite, quasi a voler recuperare tutto quel tempo trascorso in isolamento.
Una delle cose che più mi ha fatto riflettere è stata proprio questa: mi sono accorta di quanto velocemente gli anni del liceo siano passati e di quanto siano stati importanti i singoli momenti vissuti, come le semplici chiacchierate con il vicino di banco, gli intervalli passati a girare per i corridoi o condividere l’ansia prima di una verifica o interrogazione.
Mi sembra quasi assurdo, ora, dopo tutti i mesi trascorsi in quarantena e un’estate che abbiamo potuto solo addentare ma non assaporare a fondo, essere di nuovo qui davanti ad un pc, ad ascoltare le lezioni di un prof che spiega ad una classe piena di banchi vuoti. I banchi su cui dovremmo poter essere seduti tutti noi ragazzi.
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