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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

Socrate e i due “K” da non dimenticare mai

di Gabriella Montali


Chi sceglie di frequentare un liceo piuttosto che un istituto tecnico, dovrebbe aver ben chiaro una cosa: il liceo non conduce a una professione specifica, ma forma la persona, o meglio: aiuta ciascuno, attraverso esperienze intellettuali, ma anche emotive, a capirsi e a capire almeno alcune linee direttive di questo mondo complicato e contraddittorio in cui tutti noi viviamo. Poi, in seguito, con la scelta universitaria, si specializzerà il proprio sapere.

Penso di aver considerato, come molti ragazzi di oggi il mio andare a scuola cinque giorni alla settimana su sette per cinque o sei ore, una necessità e un dovere, non sempre un piacere, soprattutto quando c’erano in orario materie che studiavo con fatica. Tuttavia, posso affermare con certezza che non ho mai considerato la scuola una perdita di tempo perché intuivo che certi pensieri, certe riflessioni sull’esistenza non avrei avuto tempo e modo di farli miei nella vita fuori della scuola, dove vedevo tutti solo lavorare per otto, dieci ore al giorno, mangiare, divertirsi e... non pensare.

Per questo nel mio bagaglio di esperienze intellettuali ineliminabili, quelle che contano quando sei fuori dal nido protettivo della scuola e che ti accompagneranno per sempre, ci sono tre figure fondamentali: Socrate, Kant e Kafka, i due grandi “K” del pensiero occidentale, di cui ricorre quest’anno rispettivamente il tricentenario della nascita (Kant è nato il 22 aprile 1724) e il centenario della loro morte (Kafka è morto il 3 giugno 1924).

Socrate con la sua maieutica e l’imperativo a lui attribuito: Conosci te stesso.(γνῶϑι σεαυτόν) mi ha aperto la porta del mio spazio interiore. Mi ha aiutato a comprendere la mia limitatezza e finitudine e che cosa so e posso fare, anche se non sarà mai perfetto, perché siamo tutti solo umani fragili e manchevoli, non dei immortali. E’ stato utilissimo per prendere decisioni importanti nella mia vita.

Kant mi ha affascinato con il suo imperativo categorico che mi ha orientato nell’agire: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale» („Handle so, daß die Maxime deines Willens  ederzeit zugleich als Prinzip einer allgemeinen Gesetzgebung gelten könne.“). Questo principio ci ricorda che nessun uomo può fare e disfare a suo piacimento perché una decisione personale potrebbe tradursi in una azione negativa per tutti gli altri nostri simili; quindi, bisogna sempre agire nel rispetto di ciò che tutti ritengono moralmente giusto, al di là del proprio tornaconto. Il che significa, in ultimo, come lo stesso Kant specifica in un altro punto: Agisci in modo tale da non considerare mai i tuoi simili come un mezzo ma come un fine, ovvero: non usare altre persone per raggiungere il tuo fine personale: Handle so, dass du die Menschheit sowohl in deiner Person, als in der Person eines jeden anderen jederzeit zugleich als Zweck, niemals bloß als Mittel brauchst.”

Pensate se i potenti della Terra, quelli che agiscono nel nome di milioni di persone, svegliandosi ogni mattina, mentalmente, si ripetessero queste massime di comportamento prima di prendere le loro decisioni planetarie: non avremmo risolto molti dei problemi che oggi affliggono il mondo?

Passo a Franz Kafka, che potrebbe rispondere alla domanda sopra con il destino di uno dei suoi tanti personaggi, che non viene a capo di nulla, non riesce a risolvere i suoi problemi, ma spesso paga con la vita la colpa di aver voluto “capire le leggi che governano il mondo” (Leggete: La legge! e di mettersi in salvo (Leggete La tana!).

Kant sta a Kafka come un involucro tondo e perfetto sta al caos che trattiene al suo interno.

E fra questi due estremi bisogna imparare a vivere, cioè nel nostro piccolo fare le cose giuste, sperando che anche gli altri le facciano, nella consapevolezza “kafkiana” – e un po’ anche socratica – che le forze che muovono il nostro agire non sono purtroppo dettate solo dalla razionalità – garanzia del bene comune e, in fondo, base di un pensiero democratico -, ma dalle emozioni, dalla sete di potere oppure anche dalla vendetta per torti subiti in passato.

Che cosa possiamo fare per impedire che il caos rompa l’involucro di moralità e razionalità che garantisce la nostra pacifica convivenza?

Ognuno ci pensi e faccia per sé e per gli altri la cosa giusta, anche se scomoda.

Ringraziamo Socrate, Kant e Kafka per averci donato questi insegnamenti.

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