di Mirea Mascheri
Sentiamo spesso parlare di leggende popolari, racconti tramandati oralmente che pongono radici in tradizioni di popoli antichi: i simpatici folletti irlandesi dalla barba rossa che custodiscono la pentola d’oro o il fantasma di Maria la Sanguinaria che attraversa gli specchi ne sono un esempio. Tuttavia non sono altrettanto conosciute le storie che animano le nostre terre, in particolare Monza, dando una storia o un’aura di mistero alla città.
Tra queste, ne troviamo una che riguarda il castello Visconteo, edificio demolito dalle truppe francesi all’inizio dell’800. Si racconta che tempo fa la bella moglie del castellano visconteo si innamorò follemente di un romantico poeta. I due erano soliti incontrarsi la sera alla fine di Via Visconti, dove un tempo delle romantiche barchette erano costeggiate sulla riva del Lambro. Quando il marito venne a sapere dell’adulterio, uccise prima il poeta, poi la moglie e fece gettare i cadaveri nelle acque del Lambro. I due giacciono nelle profondità del fiume e persino il marito fu trovato, secondo la leggenda, cento anni dopo, mummificato. Anche lui presso le acque del fiume…
Anche il parco di Monza, luogo che oggi ospita il Gran premio e dove si può andare a passeggiare, è animato da dei racconti. Tra questi il più famoso è quello di Mata Capina, una donna enorme, vestita di stracci, che era solita passare da Monza trascinando con sé un grande carro carico di oggetti, ferri e cianfrusaglie fino alla sua tana: il Parco. Si pensa che fosse una vera strega alchimista, capace di trasformare i segreti delle piante e dei fiori in potenti medicine guaritrici: era a lei che, di nascosto sotto i rami del bel bosco, i monzesi chiedevano le migliori cure per i propri figli, parenti e amici. Ma non è sola: per cercare la strega, le fate e il gigante, bisogna aspettare il 12 settembre, data di plenilunio lunare, e poi cercare con lo sguardo nel buio: appare da lontano, nell’ombra della notte, con il carro che arranca tra le foglie silenziose.
L’ultima storia riguarda la “casa dei nani”, costruzione che si affaccia su un angolo di Largo Mazzini. Chiamarla casa sarebbe scorretto: si tratta più che altro di un budello architettonico, largo due braccia, ma alto come le altre case, che alla base ha quella che sembra una porta contornata da un bugnato di pietre e un architrave. Poco più sopra la targa toponomastica, due apparenti piani; uno aperto da una bifora, l’altro da una monofora. La leggenda nasce da discussioni di cittadini che, incapaci di spiegarsi come qualcuno potesse vivere in uno spazio tanto ristretto, hanno ipotizzato che gli abitanti potessero essere dei nani, alimentando la leggenda.
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