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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

LA MIA BATTAGLIA

di Alessandro Marceca

 

Il teatro è un'esperienza unica, un'arte che coinvolge tutti i cinque sensi e ci permette, se vissuto appieno, di capire qualcosa di nuovo su di noi e che, nonostante ciò, molti non hanno mai avuto l’opportunità di vivere per i motivi più vari.

Il progetto Piccolo Teatro di Villa Greppi, quindi, da ormai tre anni dà la possibilità alle classi del triennio di partecipare ad una rassegna di quattro spettacoli teatrali, a prezzo calmierato, offrendo ai suoi studenti la possibilità di fare un'esperienza che in altre circostanze, magari, non avrebbero mai fatto.

Il 18 ottobre è andato in scena il primo di questi spettacoli, l'autobiografia di un uomo, un trentenne, con ancora il potenziale di diventare chiunque. “Io non diventerò un impiegato.” Non sarò mediocre, sono diverso dalla massa dei poveri proletari come dei ricchi borghesi, questo il suo mantra.

Questo disprezzo per la mediocrità è un sentimento che accomuna moltissimi giovani, moderni come passati, al quale poi si accostano quella frustrazione tipica della giovane età, periodo dove si nutre ancora un senso di onnipotenza e fiducia incondizionata in quello che possiamo fare e diventare.

Stefano Massini, celebre attore italiano, mette in scena un monologo di 85 minuti ininterrotti, chi domina la scena è solo lui, “inchiostro” su una pagina bianca, piattaforma illuminata, su cui si muove con la sola compagnia di improvvise piogge di libri e vetri che riempiono pian piano, insieme a Massini, la pagina della vita del trentenne tedesco.

“La mia battaglia”, è il nome della sua autobiografia: disprezza la sua mediocrità, e per questo lascia il paese natale per diventare pittore di strada in un limbo tra povertà proletaria e ricchezza borghese, tra le vie di Vienna, dove vive la sua gioventù. Ma ciò che prima era una frustrazione con cui riuscivamo a empatizzare, col passare del tempo muta; muta perché trova un capro espiatorio, trova qualcuno contro cui puntare il dito.

Il suo pensiero da questo momento in poi inizia a sembrarci sempre più deviato, tra l'amore per la guerra come luogo della meritocrazia assoluta: vive il forte, perisce il debole; è la conclusione a cui arriva, lui, che col suo carisma, si può servire degli altri per avere il suo nome sui giornali, perché gli uomini hanno bisogno di un leader e lui sa che sarà lui a guidare i tedeschi, un giorno.

La mia battaglia, “Mein Kampf”, la sua battaglia per emergere, per comandare. Adolf Hitler non è ancora il terribile dittatore che metterà in ginocchio l'Europa quando scrive questo testo; ma è qua che troviamo le idee, anche se ancora solo in stato embrionale, che porteranno alla Seconda guerra mondiale e ai campi di sterminio. È un libro che ha cambiato il corso della storia e che, nonostante ciò, nessuno o pochissimi Tdeatro nelle loro librerie, e se è vero, come si dice, che bisogna conoscere la storia per non ripetere gli errori del passato, allora, ora più che mai, all'alba del suo centenario il "Mein Kampf" va letto e capito.

Ma soprattutto non va dimenticato, per rispondere a una logica della paura che spera di eliminare lo spirito del nazifascismo solo destinando i suoi testi all'oblio.


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