di Gabriella Montali
Sono tanti gli anniversari che si festeggiano nel 2024: i 20 anni di Facebook, ora Meta, i 35 anni dalla Caduta del Muro di Berlino, i 70 anni di vita della Rai, i 75 anni dalla nascita della Nato a Washington, i 120 anni dalla nascita di Robert Oppenheimer (1904-1967), il “padre” dell’atomica, i 90 anni dalla morte di Marie Curie (1867-1934), Nobel per la fisica e la chimica, e altri ancora, ma voglio soffermarmi solo sugli anniversari di alcuni italiani che hanno fatto grande l’Italia nel secolo scorso e che vale la pena di tenere ben a mente.
In primis vorrei ricordare l’anniversario dell’uccisione del giornalista socialista Giacomo Matteotti (1885 – 1924) da parte dei fascisti. Fu il primo antifascista d’Italia e pagò la sua denuncia davanti al Parlamento dei brogli elettorali dell’aprile 1924 con la propria vita: fu ucciso il 10 giugno 1924 da squadristi fascisti e il suo corpo occultato e ritrovato solo il 15 agosto nella campagna romana. Resta per me un esempio luminoso dell’informazione seria e rigorosa che la stampa – e non solo – deve fornire sempre ai cittadini perché conoscano la verità e decidano di conseguenza.
Il 25 aprile (stesso giorno della Festa della Liberazione), è stato il 150esimo anniversario della nascita di Guglielmo Marconi (1874-1937), lo scienziato, inventore e imprenditore di Bologna, che a vent’anni sviluppò le prime comunicazioni a distanza senza fili attraverso lo sfruttamento delle onde elettromagnetiche diventando in seguito l’inventore della telegrafia senza fili e quindi il padre della radio, uno strumento che ha collegato per la prima volta i paesi di tutto il mondo, diffondendo cultura, dialogo, non solo musica e divertimento.
Nel novembre 2024 ricorrono due altri centenari importanti: il 29 novembre 1924 cade il centenario della morte di Giacomo Puccini (1858-1924), musicista lucchese scomparso a Bruxelles, molto amato dalla Real Casa dei Savoia, compositore di opere famose come la Turandot, la Tosca, Madame Butterfly e Manon Lescaut che ancora oggi rientrano nei repertori dei teatri di tutto il mondo e fanno dell’Italia il paese dell’opera per eccellenza. Arcore ha dedicato tutta la 3a settimana di ottobre ai suoi festeggiamenti con una piccola mostra sulla sua vita in Villa Borromeo e concerti sulle arie pucciniane dal 24 al 26 ottobre.
Inoltre, il 3 novembre, la Rai festeggia la nascita del grande primo insegnante televisivo, il Maestro Alberto Manzi (3 novembre 1924 – 4 dicembre 1997), con il quale moltissime persone analfabete in Italia hanno imparato a leggere e scrivere, un successo che la Rai, nel suo sito ufficiale, dove festeggia quest’anno i 70 anni della sua esistenza, ricorda con queste parole: la televisione degli Anni Cinquanta era pensata “non solo come occasione di intrattenimento ma anche come strumento di educazione e informazione” per combattere l’analfabetismo. Con il programma del Maestro Manzi "Non è mai troppo tardi", andato in onda per molti anni a partire dal 1960, si è contribuito a creare una lingua nazionale molto più di quanto sia stata in grado di fare la scuola”.
Come mio marito, ho seguito personalmente le sue lezioni da bambina di 5 anni e, devo dire, che era strabiliante la capacità del Maestro Manzi di schizzare coi gessetti alla lavagna le situazioni che poi diventavano il punto di partenza delle sue lezioni. Quando sono diventata insegnante, anch’io usavo ogni tanto questo metodo per creare storielle che poi insieme alla classe verbalizzavamo. Un’esperienza molto divertente e istruttiva!
Quello che mi piaceva del Maestro era la sua gentilezza e pacatezza. Si imparava senza stress, senza voti, giusto per la curiosità di imparare cose nuove. Mi sono chiesta più volte come avesse fatto a inventare questo suo metodo, che funzionava benissimo, e ho scoperto che l’aveva affinato in carcere a partire dal 1946, dove era stato mandato ad insegnare ad una classe di 94 minori. Riuscì a dare a tutti un’istruzione e solo due ritornarono in seguito in carcere. Gli altri, grazie all’istruzione ricevuta, si poterono ricostruire una vita.
Non contento di questo successo nel 1955 partì per il Sud America per insegnare a leggere e scrivere ad alcune popolazioni delle Ande che firmavano con una x contratti che li relegavano al ruolo di schiavi. Da questa esperienza sudamericana, che durò 30 anni, ricavò romanzi che furono pubblicati in tutto il mondo in più di 20 lingue e vinse anche il premio di narrativa Andersen. Quando la Rai lo chiamò per il programma Non è mai troppo tardi, che nessuno voleva fare, lui accettò, strappò il copione che gli avevano dato e fece lezione a modo suo. Fu un successo! Lui disegnava e la gente imparava.
L’esperienza scolastica del Maestro Manzi non si fermò qui: scrisse saggi, insegnò alle elementari e continuò la sua lotta contro una scuola che non gli piaceva perché metteva al centro i voti. E lui era contrario a qualsiasi forma di classificazione dei discenti. Sua figlia Giulia Manzi riporta nell’introduzione al suo libro La valutazione scolastica - L’influenza del giudizio sulla valutazione dei nostri figli, Il Leone Verde, 2019, ciò che suo padre scrisse il 7 giugno del 1975 e che gli costò una sospensione da scuola di due mesi: “Classificare dando una votazione o un giudizio di merito comparativo, a livello di scuola dell'obbligo, nel pieno sviluppo evolutivo, nel primo impatto e nel successivo adeguamento e nelle ricerche di strutture per una vita associata “migliore”, significa voler dimenticare che la scuola è tale solo se insegna a pensare, solo se aiuta a immettersi con libertà nella società̀.Classificare significa impedire un armonioso sviluppo intellettivo, rispettoso dei tempi di crescita individuali; significa impedire un apprendimento cosciente, che nasce, cioè̀, da un continuo osservare, ragionare, discutere sulle cose; ricerca, questa, che non è mai priva di errori, di incompletezze. Ora, se si classifica, l'errore, l'incompletezza suscita “terrore”, per cui si tende ad evitare la causa del terrore copiando, imparando a memoria definizioni fatte da altri, ecc. (...) Classificare significa ancora educare alla divisione classista (bravi, più bravi, meno bravi, ecc.), significa selezionare, distruggere la personalità.Classificare significa, purtroppo, distruggere il senso della comunità, dove ogni individuo deve imparare a vivere dando il meglio di se stesso non per lucro (ed anche il voto è lucro) ma nell'interesse della comunità stessa e per il piacere personale che deriva dalla scoperta e dalla conoscenza."
Direi che tutti noi, docenti e discenti, dovremmo far tesoro di queste parole del Maestro Manzi, per portare nella scuola il piacere dello studio e far fiorire il meglio di noi, limitando il giudizio, favorendo il piacere della conoscenza e non idolatrando il voto che, personalmente, ritengo sia un parametro necessario e utile se accompagnato da una spiegazione che possa aiutare lo studente a capire i propri errori e a migliorarsi. In altre parole, dopo più di 40 anni di esperienza didattica, mi sento di dare questo consiglio: non riduciamo l’apprendimento alla valutazione tramite verifiche di quello che il docente ha spiegato. La verifica è un atto dovuto, ma non il fine ultimo dell’insegnamento.
Ce la possiamo fare!
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