di Riccardo Porta
Le cose buone hanno bisogno di tempo, si sa, ed arrivano quando meno te lo aspetti.
Sicuramente questi due principi calzano a pennello per descrivere il nuovo album di Marracash, “È finita la pace”, uscito a sorpresa nella mattina del 13 dicembre scorso.
Il rapper, già considerato massimo esponente del suo genere per “Persona” (2019) e “Noi, loro, gli altri” (2021), dopo aver "psicanalizzato" se stesso ed aver analizzato la società che lo circonda, chiude quella che può essere considerata la sua trilogia con un’ultima mossa: una lucida e fredda descrizione del mondo moderno, delle relazioni e dell’uomo del ventunesimo secolo, ricollegandosi anche a come la realtà esterna abbia ripercussioni sulla sua sfera personale. Un album del genere, di circa un’ora, con tredici brani fitti di barre e senza ospiti, richiede molto tempo per la formulazione di un giudizio, anche mesi. Per questo motivo descriverei questo mio pezzo non come una vera e propria recensione, ma soltanto come il parere personale di un fan e un consiglio di ascolto.
Che Marracash sappia usare bene le parole è risaputo, ma questo è il progetto in cui forse la sua capacità lirica tocca l’apice: è come se il rapper sapesse sempre esattamente che cosa dire per descrivere nel modo più cinico, razionale e distaccato possibile una società a cui, ormai, non si sente più legato. La cosa che, però, colpisce è la differenza con le precedenti critiche: mentre negli altri album si percepiva la voglia di cambiare questo mondo ingiusto, in “È finita la pace” sembra quasi che Fabio Rizzo (vero nome dell’artista) si sia arreso, abbia capito che combattere è inutile e che l’uomo sia destinato a distruggersi da solo. Parlare di questo mondo al collasso non ha, quindi, uno scopo di denuncia sociale, di cambiamento, ma ha scopo catartico, come se l’artista avesse bisogno di una valvola di sfogo, una via di fuga da questa distopica società, e la trovasse descrivendo la situazione su carta.
Questo elemento, frutto di una visione molto pessimistica, potrebbe rendere ad alcuni difficile l’ascolto dei brani, ma non bisogna fermarsi all’apparenza. Se dal punto di vista politico-sociale Marra è sconsolato, da quello personale sembra aver invece ritrovato una sorta di "retta via": lo percepiamo, ad esempio, all’inizio dell’album, nel brano “Detox Rehab”, in cui si parla delle dipendenze dell’autore e di come provi in ogni modo ad uscirne, a volte salvandosi, altre ricadendoci in pieno. Il messaggio è ancora più chiaro e forte in “Lei”, in cui viene descritta, appunto, una “lei” ideale, la ragazza perfetta per l’artista; Marracash è consapevole del fatto che ella non esisterà mai, ma chiude il brano ripetendo “non credo sarà un problema”: anche la solitudine, dunque, che lo attanagliava in alcuni vecchi brani, non gli fa più paura.
Non dimentichiamoci, comunque, che si tratta di un album musicale. E allora, dal punto di vista delle produzioni, com’è ÈFLP?
L’album si distingue per una forte componente R&B (Rhythm & Blues), che si può percepire in molti ritornelli (come nella già citata “Detox Rehab”, ma anche in “Soli”, che campiona una storica hit dei Pooh, oppure nella stravagante “Mi sono innamorato di un’IA”) e anche un’influenza proveniente dal cantautorato italiano (viene campionata anche “Canzone triste” di Ivan Graziani) nuova per il “king del rap”. A primo impatto è strano ascoltare queste linee melodiche, ma, allo stesso tempo, non stona, anzi ricorda alcuni modelli probabilmente presi ad ispirazione dallo stesso Marracash, come Salmo e Vasco Rossi. Se l’artista decide di staccarsi dalle sue radici di rap puro e sperimentare qualcosa di nuovo, è perché, come viene spiegato nella prima canzone, “il rap italiano non sa più come dire che non sa più cosa dire”.
Il ritorno di Marra è sicuramente pesante per tutta la scena: prima di tutto per la ventata di novità che egli porta (nonostante sia nel gioco da oltre 15 anni), criticando tutti quei giovani rapper che non fanno altro che copiarsi a vicenda e seguire stereotipi infamanti per l’intero genere, ma anche e soprattutto perché egli ci dice che è possibile avere musica con contenuti importanti, musica che parli della politica e della società e non si limiti solo a testi insulsi e “poveri”.
Tra le mie canzoni preferite dell’album vi sono, oltre alle già citate “Detox Rehab” e “Lei”, “Soli”, che parla dei diversi tipi di solitudine che oggi ognuno può sperimentare, e “Vittima”. Quest’ultima è, forse, uno degli esempi migliori delle grandi doti di scrittura del rapper della Barona, perché è una specie di inno, un incitamento ad andare avanti con le proprie gambe anche nelle situazioni peggiori, quando tutto va male, e a non comportarsi come una vittima della vita. Perché per Marracash siamo noi gli artefici del nostro destino, possiamo cambiarlo se ce la mettiamo tutta, proprio come fece lui anni fa e continua a fare tuttora.
Insomma, in una fredda mattina di dicembre Marracash ci ha permesso di fare una grande riflessione su quanto la nostra società sia fragile, delicata e chiusa, proprio come una bolla, elemento ricorrente nei testi del disco e che, non a caso, compare sulla sua copertina.
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