di Francesco Sinigaglia
La sera del 3 novembre 1954, uno scrittore e giornalista svedese scende nel garage della sua abitazione a Enebyberg in Svezia. Chiude tutte le finestre e sale in auto. Accende il motore della macchina e lo lascia al minimo, senza togliere il freno a mano. Dopo poche ore, ha un ripensamento, come molte altre volte prima di quella. Spegne l’auto, apre la portiera e tenta di scendere, ma è troppo tardi, l’aria è satura di gas di scarico. Muore asfissiato dal monossido di carbonio, come aveva progettato. Quest’anno sono passati 70 anni dalla morte di quell’uomo, quel giornalista e quello scrittore, che è stato Stig Dagerman.
Caduto nell’oblio e dimenticato dai più, come molti altri autori, i suoi testi non si studiano nelle scuole, né sono letti nei parchi o ricercati nelle biblioteche. Così, ho vissuto senza sapere della sua esistenza fino a 18 anni, quando un giorno, cercando su Netflix un film da vedere, mi imbattei in un cortometraggio di 9 minuti, dal titolo “To Kill a Child”, datato 1953. Incuriosito dalla copertina in bianco e nero e dal titolo enigmatico, decisi di guardarlo. Il corto ripercorre la dolce e terribile mattina di un uomo e di una bambina, le cui vite sono destinate, forse inevitabilmente, a intrecciarsi per sempre. Rimasi scioccato e affascinato allo stesso tempo. Volli sapere chi aveva pensato e scritto quella storia, che mi aveva colpito così tanto. Fu così che incontrai il nome di Stig Dagerman.
Dagerman nasce nel 1923, in una piccola cittadina svedese. I genitori, non potendolo mantenere, lo lasciano dai nonni, con i quali trascorrerà l’infanzia, che descriverà come il periodo più felice della sua vita. All’età di nove anni si trasferisce con il padre a Stoccolma, dove aderisce al sindacalismo e all’anarchismo, ai quali si dedicherà per tutta la vita.
All’età di 22 anni pubblica il suo primo e più famoso romanzo: “Il serpente” (1945). Dopo il clamoroso successo della sua opera d’esordio, trova lavoro come giornalista. Proprio per un’inchiesta giornalistica scrive il libro di reportage “Autunno tedesco” (1947), nel quale racconta le condizioni di vita dei più poveri nella Germania del dopoguerra. Da quest’opera, Dagerman inizia a legare la sua scrittura alla realtà di chi non ha voce, in quella che lui stesso descriverà come “l’arte di scendere in basso”.
Con questo metodo, nei suoi racconti, romanzi e poesie sceglie di parlare degli indifesi e degli emarginati, coloro che per lui sono i meno compresi dalla società, in primis i bambini. È proprio con questo intento che nasce il racconto “Uccidere un bambino” (1948), dal quale è tratto il corto del 1953. Scrivere del mondo dei bambini è un modo per ricondurre l’umanità alla sua primitiva innocenza, ma anche per evadere dal mondo reale e tornare a quella fanciullezza che gli era stata tanto cara.
Dopo il successo delle prime opere, Dagerman teme sempre di più il fallimento e, sotto la pressione degli editori, inizia un lungo periodo di depressione. Il secondo matrimonio e la nascita della terza figlia non fermano la costante solitudine che cresce in lui, inducendolo ai primi tentativi di suicidio. Questo periodo della sua vita, caratterizzato dalla sofferenza e dall’angoscia del fallimento, è sintetizzato nella sua ultima opera: “Il nostro bisogno di consolazione” (1952), un saggio breve sull’esistenza umana. In questo testo Dagerman indaga, con gli occhi sognanti e speranzosi di un bambino, il significato della sua vita, realizzando, non solo una profonda riflessione esistenziale, ma il suo stesso testamento spirituale. Nel 1954, a 31 anni, dopo l’ennesima ricaduta depressiva, si toglie la vita. Nel suo studio ritrovano una poesia, pubblicata postuma nella raccolta “Il viaggiatore”, la quale recita:
Qui riposa
uno scrittore svedese
caduto per niente
sua colpa fu l’innocenza
dimenticatelo spesso
Quest’anno si ricordano i 70 anni dalla morte di Stig Dagerman, anniversario per il quale, secondo la legge europea, scadono i diritti d’autore. Quindi, da quest’anno, le opere di questo scrittore sono parte del patrimonio comune, ma, affinché ciò avvenga davvero, è necessario che i suoi lavori siano riscoperti. Ormai, è più di un anno che mi nutro dei testi di Dagerman e, come la prima volta, scuotono sempre le radici profonde del mio essere. Ricordo spesso questo splendido scrittore e stimabile uomo, anzi, secondo la sua volontà, lo dimentico spesso. Proprio lui, che per tutta la vita ha cercato di ritornare ignorato e libero come un bambino e che mai ha desiderato di essere ricordato, necessita di essere conosciuto. Scrivo questo articolo con la speranza che tutti possano lasciarsi toccare dalle sue parole, dallo sguardo sincero dei suoi personaggi e dalle sofferenze con cui ha combattuto. Spero che possano dimenticarlo tutti, almeno una volta.
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