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Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

RUSSIA: 1917/2021, UNA RIVOLUZIONE INFINITA

di Greta Camesasca


Secondo il dizionario Treccani, la definizione di totalitarismo è: Sistema politico autoritario, in cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della politica e della cultura”.

Nonostante la chiarezza della spiegazione, è, purtroppo, per ben altri motivi che ne conosciamo il significato. In particolare nel corso XX secolo, infatti, esempi di totalitarismo molto noti ci permettono, al giorno d’oggi, di afferrarne il concetto saldamente. Oltre ai regimi Fascista, Nazista e quelli tipici filocomunisti del Sudamerica, dell’Europa orientale e dell’area Indocinese, non passa inosservato quello che Stalin instaurò in Russia. Attualmente, come in molti dei casi sopracitati, in Russia il regime illiberale e autoritario è mascherato da un’apparente forma di repubblica. Vladimir Putin detiene infatti la carica di presidente e non di dittatore. Ciò che però è importante sottolineare è il succedersi dei suoi mandati presidenziali: come prevede la Costituzione della Federazione Russa, per Putin era impossibile essere eletto una terza volta di seguito. Per non contravvenire a questa norma, il presidente uscente ha favorito l’elezione del suo delfino Dmitrij Medvedev, il quale ha provveduto immediatamente a nominare Putin come Primo Ministro, restituendogli in pratica il potere assoluto. Superato lo scomodo intervallo, Vladimir Putin è ovviamente tornato a ricoprire la carica di presidente.

Chiaramente, l’ostentazione così iconica del potere accentrato in un’unica persona, ha favorito la nascita di un’opposizione al regime. Non pochi, infatti, sono stati i dissidenti politici che hanno messo a repentaglio la propria vita per un comune ideale di libertà. Un primo esempio eclatante è stato il politico russo Boris Nemcov, assassinato il 27 febbraio 2015 nel centro di Mosca, il quale definì il regime politico di Vladimir Putin come “un sistema a partito unico connotato da censura, da un parlamento fantoccio, dalla fine dell’indipendenza del potere giudiziario e da una forte centralizzazione del potere e delle finanze nonché da una ipertrofica influenza dei servizi speciali e della burocrazia, in particolare relativamente all’economia”.

È opportuno citare in questo ambito anche Aleksandr Litvinenko, ex agente dei servizi segreti russi, divenuto dissidente e avvelenato con Polonio 210 nel 2006. Prima di morire accusò apertamente Putin dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja, sostenitrice dei diritti umani e di conseguenza molto scomoda per gli interessi di Putin.

Il caso più recente è quello di Aleksej Naval’nyj, altrettanto meritevole di attenzione. Già nel 2013 il blogger russo contestava apertamente la politica totalitarista di Putin e, nel momento della sua candidatura a sindaco di Mosca, venne ingiustamente accusato di furto di legname. Nonostante i suoi tentativi di difesa, fu condannato a cinque anni di carcere. Malgrado questo chiaro avvertimento, Naval’nyj non ha rinunciato ai suoi ideali, ma li difende ancora più apertamente grazie alla visibilità che la sua attuale posizione politica gli conferisce. È anche vero però, che il suo coraggio gli sta costando caro. Infatti nell’agosto del 2020 è stato avvelenato e trasferito in Germania per essere curato su richiesta della famiglia e dei membri del suo partito. Il suo ricovero a Berlino è stato osteggiato da un Consiglio di medici russi con il pretesto che le sue gravi condizioni non consentissero il suo trasporto. Solo in seguito all’appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo, il dissidente è stato trasferito all’ospedale universitario della Charité di Berlino. Gli esami hanno riscontrato la presenza del Novichock, già utilizzato in passato dai servizi segreti russi per eliminare persone scomode. Nonostante la palese paternità dell’accaduto, Aleksej Naval’nyj è stato arrestato appena atterrato in Russia nel gennaio 2021 con l’accusa di aver eluso l’obbligo di firma nel periodo in cui era ricoverato in gravissime condizioni in Germania.

USA e UE hanno da subito condannato questo comportamento e hanno richiesto l’immediato rilascio senza condizioni del dissidente, candidato al Premio Nobel per la pace.


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