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"Epstein files": perché sotto i riflettori?

  • Immagine del redattore: Il Foglio di Villa Greppi
    Il Foglio di Villa Greppi
  • 5 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

di Alessandra Mauri


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Jeffrey Epstein, il finanziere scoperto e condannato per traffico sessuale e abusi su minorenni, è morto in carcere nel 2019 mentre attendeva il processo. Da allora, sono rimasti sigillati migliaia di documenti legati alle sue inchieste: registri di voli, liste di contatti, video e immagini, testimonianze, comunicazioni, conti e attività finanziarie. Per anni, molti hanno sostenuto che in quei fascicoli, in quello che spesso è stato definito come “archivio del potere”, ci fossero nomi eccellenti di politici, uomini d’affari e celebrità. Il semplice fatto che questi documenti fossero nascosti ha alimentato dubbi e teorie del complotto, ma anche richieste di trasparenza. Nel 2025, la pressione è arrivata a un punto di svolta: il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la Epstein Files Transparency Act, costringendo lo U.S. Department of Justice (DOJ) a rendere pubblici (salvo poche eccezioni legate alla privacy delle vittime e alla sicurezza) tutti i documenti non classificati relativi a Epstein, alla sua complice Ghislaine Maxwell, alle indagini, ai voli, ai registri finanziari, agli interrogatori e alla sua morte in carcere. In questo contesto esplosivo riemerge con forza il nome di Donald J. Trump, per la sua nota frequentazione con Epstein: la riapertura dei file e la promessa di ‘tutto alla luce del sole’ potrebbe scuotere equilibri politici e rivelare verità nascoste.


Cosa sappiamo finora: le e-mail “incriminate” su Trump

Tra i documenti già resi pubblici ci sono alcune e-mail inviate da Epstein prima della morte in cui è citato direttamente Trump. In un messaggio del 2011 indirizzato a Maxwell, Epstein scriveva che una “vittima” aveva “passato ore a casa mia con lui (Trump)” e che di lui “non è mai stata fatta menzione” in pubblico. In un’altra corrispondenza a un giornalista vicino a Trump, Epstein affermava che “Trump sapeva delle ragazze” e che aveva chiesto a Maxwell di “farla finita” con certe frequentazioni. Queste rivelazioni, seppure da sole non costituiscano prove definitive di reato, riaccendono sospetti e sollevano domande molto serie sulla natura del rapporto tra Trump ed Epstein: frequentazioni, conoscenza di alcune delle vittime, eventuali favori e complicità morale o informativa. Fin qui, il nome ‘Trump’ compare nei documenti ma questo non significa che sia formalmente accusato di un crimine. Le autorità affermano che non sono state trovate prove sufficienti per procedere con nuove incriminazioni.


Jeffrey Epstein e Donald Trump, insieme a Melania Trump e Ghislaine Maxwell nel 2000
Jeffrey Epstein e Donald Trump, insieme a Melania Trump e Ghislaine Maxwell nel 2000

Dal rifiuto alla retromarcia: la parabola politica di Trump

Durante la campagna elettorale 2024-25, Trump aveva promesso di rendere pubblici i file di Epstein, cavalcando la richiesta di trasparenza. Ma una volta tornato in carica la sua posizione è mutata: l’amministrazione ha sostenuto che non c’era una ‘client list’, che non era opportuno sciogliere tutti i segreti e che molti fascicoli dovevano restare riservati per proteggere le vittime. Tuttavia, la crescente pressione politica, mediatica e sociale ha costretto un’ammissione: l’11 luglio 2025, il DOJ sotto l’amministrazione di Trump dichiarò di aver recuperato “oltre 300 gigabyte di dati e prove fisiche”, documenti che coprivano video, immagini, registri di volo, comunicazioni, investigazioni e altro ancora. Alla fine, il 19 novembre 2025, Trump ha firmato la legge che impone la pubblicazione di gran parte di quei materiali. In un post su Truth Social, ha scritto: “Non abbiamo niente da nascondere”. Per molti, quella firma rappresenta un colpo di scena: da oppositore dei ‘file da divulgare’ a catalizzatore della trasparenza. Ma c’è chi vede nella mossa una strategia politica: scaricare la responsabilità su altri, sfruttare i documenti per colpire avversari guadagnando consenso.


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Perché tutto questo non è solo gossip e cosa rischia Trump

Il fatto che un presidente in carica risulti nei fascicoli di Epstein non può essere preso con leggerezza; ha un enorme peso politico e reputazionale. Anche senza accuse formali, la mera associazione solleva sospetti, danneggia credibilità, mina fiducia pubblica. La posta in gioco è alta poiché, con la pubblicazione dei file, potrebbero emergere voli, registri, foto, date, nomi, contatti, dettagli che ricostruirebbero una rete di frequentazioni e favori. Se documentata, ogni omissione, minima complicità, conoscenza dei fatti, diventa elemento di peso. Inoltre, il fatto che un dossier politico-sensibile sia ora obbligato per legge a essere reso pubblico rappresenta una sconfitta per chi credeva nell’impunità del potere. E potrebbe cambiare il modo in cui società, media e giustizia affronteranno casi analoghi in futuro. Il rilascio massiccio dei documenti, con inevitabili lacune, redazioni, pezzi mancanti, rischia di creare più domande che risposte. Mezze verità, insinuazioni, calunnie. In un sistema polarizzato come quello statunitense, è un terreno fertile per strumentalizzazioni.


E adesso? Documenti in uscita entro il 19 dicembre 2025

La legge approvata stabilisce un termine entro il quale il DOJ deve rendere pubblici i materiali: il 19 dicembre 2025. Ci attendiamo decine di migliaia di pagine, forse immagini, video, registri, e-mail, memorie interne, conti, interrogatori, relazioni investigative. Alcuni contenuti, come quelli che riguardano vittime minorenni o soggetti sotto protezione, verranno oscurati, ma la mole resta enorme. Il dibattito politico e sociale si infiammerà. Tra accuse reciproche, tensioni tra partiti, richieste di dimissioni o di chiarimenti, la questione rischia di dominare la scena negli Stati Uniti per settimane o mesi con riflessi internazionali, vista la notorietà del nome Trump. Chi ha chiesto trasparenza potrà forse dire: “Eccole, le prove, guardatele”. Chi ha difeso Trump e negato legami potrà sperare nelle ombre, nei buchi, nelle redazioni. Ma una cosa è certa: la fiducia nella politica, nella giustizia, nella trasparenza non sarà più la stessa.

Un monito finale

In un mondo dove la ricchezza, il potere e la notorietà spesso proteggono orrori indicibili, la luce è l’unica alleata delle vittime. Il rilascio dei “file Epstein” non è solo un fatto giudiziario o mediatico: è una prova di verità, di memoria, di responsabilità collettiva. Qualunque sia il contenuto finale, l’atto di aprire le carte è già una picconata contro l’impunità del silenzio. E per un uomo come Donald Trump non sarà solo un momento di verità: potrebbe rappresentare la resa dei conti con la sua eredità da tycoon, tra feste e jet privati, a presidente sotto la lente di accuse gravi.


Perché non è il passato a definirti, ma quello che non hai il coraggio di rivelare.


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