di Elena Battista
In Afghanistan la vita per una donna non è mai stata semplice. Sempre ritenuta inferiore e sottomissibile, dal 1996 al 2001 le sono stati vietati molti diritti come quello di avere un’istruzione, di camminare per strada da sola o quello di poter lavorare. Dal 2001, con la cacciata dei Talebani, qualche cambiamento c’è stato: la frequenza scolastica, la libertà personale e la forza lavoro femminile erano notevolmente cresciuti.
Le Forze alleate, passando il governo del Paese nuovamente ai talebani, hanno ancora una volta condannato lo stato sociale delle donne: nell’anima di quelle povere ragazze si era sedimentata la paura di retrogradare alla mancanza di libertà e, ovviamente, appena i talebani hanno preso il potere, hanno confermato i loro timori.
Erano tre mesi, più precisamente dal 15 agosto, che ragazze e giovani donne afghane erano state obbligate a rimanere in casa. Per tutto questo tempo soltanto ragazzi e bambine sono stati liberi di andare a scuola, mentre l’esclusione delle giovani più grandi sembra essere collegata all’arrivo del menarca, e cioè quando, secondo il pensiero comune, si raggiunge lo stadio di “donna” a tutti gli effetti. In questo modo moltissime ragazze dai 12 ai 18 anni sono state emarginate dalla società e dalla vita scolastica, costrette ad interrompere la loro formazione e a mettere in dubbio la possibilità di ottenere, un giorno, l’incarico lavorativo che le avrebbe rese indipendenti e soddisfatte.
Fortunatamente, però, in questi ultimi giorni sono arrivati spiragli di luce e speranza da Herat, la terza città più grande dell’Afghanistan. Qui, sabato 6 novembre, le ragazze con età superiore agli 11 anni hanno potuto ritornare sui banchi di scuola. Al momento sembrerebbe che a partecipare a questo provvedimento siano 26 scuole per ragazze, e l’appello riguarderebbe 5000 studentesse. La speranza è che la riapertura si estendi a tutto il Paese per ridare ad ogni giovane donna la sua libertà e i suoi diritti allo studio.
Cosa però incredibile, e anche un po’ assurda, è che questa conquista sia stata solo opera di una ragazzina di 15 anni: Sotooda Forotan, giovane studentessa afghana, ha fatto molto più in una giornata di quanto gli enti governativi non abbiamo realizzato in mesi e mesi. Com’è possibile che una semplice ragazzina sia riuscita a riportare le sue coetanee a scuola, cosa assolutamente non da poco, mentre i nostri Governi sono ancora con nulla in mano?
Ritornando a Sotooda, la giovane attivista, durante una cerimonia pubblica per l’anniversario della nascita del profeta Maometto, era stata chiamata per recitare una poesia, ma invece, appena salita sul palco, ha deciso di stupire e commuovere i presenti con un discorso rivolto ai talebani per riportare l’istruzione femminile in Afghanistan. “Oggi, come rappresentante delle ragazze, voglio lanciare un messaggio che proviene dei nostri cuori. Sappiamo tutti che Herat è la città della conoscenza… Perché allora le scuole devono restare chiuse per le studentesse?” Queste sono state le sue parole, diventate virali in tutto il Paese grazie ai social media, che sono riuscite a riattivare le proteste contro il bando dell’educazione femminile.
La situazione è ancora incerta e nulla è sicuro: quello che Sotooda ha conquistato sarà temporaneo? Si estenderà in tutto il Paese? L’educazione che queste ragazze riceveranno sarà adeguata? Le domande sono moltissime, ma per il momento rimane la gioia delle studentesse che finalmente potranno ripopolare le classi di scuola ogni mattina.
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