di Angelica Aliprandi

Il discorso tenuto da Sergio Mattarella all’Università di Marsiglia (vedi uno stralcio alla fine dell'articolo) ci ha indubbiamente toccati nel profondo, scuotendo le pieghe più intime della coscienza europea. La critica del Presidente si rivolge a tutti gli approcci politici antiliberali spaventosamente dilaganti che si crearono, soprattutto, in seguito alla Grande Depressione del 1929, che generò un “clima di conflitto” e “fenomeni di carattere autoritario”. Non è da nascondere il chiaro riferimento alla guerra in Ucraina, condotta da quello che Mattarella ha paragonato al "Terzo Reich”. Insomma, il suo è stato un acuto ed evidente inno alla democrazia, in quanto portatrice di libertà. Tuttavia, si tratta forse di un’analisi solo parziale dei crescenti slanci totalitari che oggi più che mai “erodono le alleanze”.
Innanzitutto è da rifiutare l’idea di un qualsiasi schema binario che divida il mondo in “buoni” e “cattivi”. Da un lato, la retorica dell’Occidente democratico potrebbe apparire l’ennesimo, assurdo, nonché fiabesco, storpiamento di una storia e di un’attualità in realtà ben più deludenti; basti pensare all’appoggio che gran parte dei Paesi europei ha garantito all’oppressione israeliana in Medio Oriente, oltre che al dichiarato consenso dato al presidente Trump, esplicitamente ostile al mondo LGBT come alle libertà femminili. Dall’altro, nei Paesi sull’orlo di una totale deriva morale e civile, le nuove generazioni si stanno mobilitando per guadagnarsi la pace e l’equità che spetta loro. Si pensi, ad esempio, ai movimenti femministi in Iran. Insomma, una situazione mondiale ben più complessa e sfaccettata di quanto possa sembrare, un mondo sempre più difficile da definire attraverso quello che Pietro Del Soldà definì un grande “bipolarismo” universale, nonché una comoda semplificazione di dinamiche strutturalmente variegate.
Detto ciò, è da delucidare anche il concetto di democrazia, che è in realtà molto più di un modello istituzionale. Quest’ultimo si è infatti rilevato un sistema assai fragile. Eventi tragicamente contraddittori possono presentarsi alle nostre porte, prima bussando, poi sfondandone le serrature: questo proprio in nome della libertà stessa, che è spesso sulle labbra dei nostri politici, ma mai nei nostri cuori. Perché questa è l’essenza prima della democrazia: un sogno. E dei sogni va presa cura in ogni istante, annaffiandoli con impegno e costanza, facendone un tesoro dall’infinita ricchezza. Se la democrazia non esiste, è perché non la viviamo nel quotidiano, dando spazio al prossimo senza rinunciare a noi stessi. Se ci siamo dimenticati di lei, forse è il caso di iniziare a vederla per ciò che è realmente: uno stile di vita, la partecipativa e voluta coesistenza tra i diversi.

Stralcio dall'intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia di consegna dell’onorificenza accademica di Dottore honoris causa dall’Università di Aix-Marseille
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La storia, in particolare quella del XX secolo, ci ha insegnato che quest’ordine è un’entità dinamica, subordinata a equilibri che, ovviamente, non sono immuni dall’essere influenzati da tensioni politiche, cambiamenti economici.
Spesso, gli squilibri che affiorano hanno radici remote: negli strascichi lasciati dai conflitti del passato. Oppure corrispondono a pulsioni, ad ambizioni di attori che ritengono di poter giocare una partita in nuove e più favorevoli condizioni, con l’attenuarsi delle remore rappresentate dalle possibili reazioni della comunità internazionale e l’emergere di una crescente disillusione verso i meccanismi di cooperazione nella gestione delle crisi. Quegli strumenti nati per poter affrontare spinte inconsulte dirette a riaprire situazioni già regolate in precedenza sul terreno diplomatico.
Del resto, la generosa fatica delle istituzioni sorte nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, costellata da bruschi arresti e delusioni, purtroppo non è stata in grado di manifestare tutta la sua potenziale efficacia.
I veti incrociati in Consiglio di Sicurezza hanno ripetutamente impedito all’ONU di dispiegare la sua azione di pace, e, tuttavia, quanto è riuscito a esprimere è stato un grande successo.
I detrattori dell’Organizzazione dimenticano, comunque, tra l’altro, il suo ruolo cruciale nel processo di decolonizzazione, o nella costruzione di un impianto normativo per arginare l’escalation militare e favorire il disarmo.
Una riflessione sul futuro dell'ordine internazionale non può prescindere da un esercizio di analisi che, guardando alle incertezze geopolitiche che oggi caratterizzano il nostro mondo, richiami alla memoria la successione di eventi, di azioni o inazioni, che condussero alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
La storia non è destinata a ripetersi pedissequamente, ma dagli errori compiuti dagli uomini nella storia non si finisce mai di apprendere.
La crisi economica mondiale del 1929 scosse le basi dell'economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. La libertà dei commerci è sempre stata un elemento di intesa e incontro. Molti Stati non colsero la necessità di affrontare quella crisi in maniera coesa, adagiandosi, invece, su visioni ottocentesche, concentrandosi sulla dimensione domestica, al più contando sulle risorse di popoli asserviti d’oltremare.
Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali.
Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto - anziché di cooperazione - pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista.
Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa.
L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura.
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