di Alessandra Mauri

In una città già segnata da profonde divisioni, il blitz del 9 febbraio della polizia israeliana nella Educational Bookshop di Gerusalemme Est ha dato il via ad un acceso dibattito su censura, sicurezza e libertà di espressione. Ciò che colpisce è che sia possibile che una libreria diventi un obiettivo delle forze dell’ordine e che possa essere considerata una minaccia.
Fondata nel 1984, la Educational Bookshop è molto più di un semplice negozio di libri.
Per anni ha rappresentato un luogo di incontro per intellettuali, giornalisti e diplomatici, offrendo una selezione di testi in arabo e inglese sul conflitto israelo-palestinese, sui diritti umani e sulla storia della regione.
Questo edificio ospita regolarmente eventi culturali e discussioni aperte, con l’obiettivo di favorire il confronto tra diverse prospettive. Ma in un contesto di crescente tensione, può la cultura essere considerata pericolosa? O è proprio il potere delle idee a renderla un bersaglio?
In questo contesto ci si chiede perchè le forze di polizia abbiano fatto irruzione. Le forze di sicurezza israeliane sostengono di aver sequestrato libri che inciterebbero alla violenza e al terrorismo, tra cui un libro da colorare per bambini intitolato From the River to the Sea, un’espressione spesso associata ai movimenti pro-palestinesi.
Secondo alcuni testimoni gli agenti hanno sequestrato centinaia di volumi, servendosi di app di traduzione per interpretare i titoli in arabo. Ma questa operazione è stata condotta per proteggere la sicurezza o per mettere a tacere una narrazione scomoda?

Dove finisce la sicurezza e inizia la censura?
L’irruzione ha sollevato molte domande sulla libertà di espressione in una città dove la storia è già oggetto di profonde dispute. In un luogo come Gerusalemme, dove convivono religioni, culture e identità differenti, la diversità di pensiero dovrebbe essere più una ricchezza che un pericolo. Se iniziano a essere vietati i libri, spaventa quale possa essere il prossimo passo.
La notizia, infatti, ha suscitato forte indignazione, non solo tra la comunità palestinese, ma anche a livello internazionale. Più di mille intellettuali israeliani hanno firmato una petizione chiedendo il rilascio dei due librai, sottolineando che colpire una libreria significa colpire la libertà di pensiero. Anche diverse organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione, temendo che episodi come questo possano limitare ulteriormente la possibilità di un dialogo aperto.
Nel frattempo, Mahmoud e Ahmed Muna, i gestori della libreria, sono stati rilasciati dopo due notti in detenzione con l’obbligo di rimanere agli arresti domiciliari per cinque giorni e il divieto di tornare alla loro attività. Ma questo potrebbe incidere pesantemente sulla libreria e sulla sua missione culturale, facendo intravvedere un futuro incerto per la Educational Bookshop.
La chiusura temporanea della libreria lascia un vuoto non solo per chi la frequentava abitualmente, ma anche per il principio stesso che rappresenta: il diritto di leggere, conoscere e discutere. In un mondo in cui la parola scritta è uno dei pochi strumenti rimasti per comprendere il passato e costruire il futuro, non possiamo permetterci di vedere i libri come una minaccia.
Mentre il dibattito sulla sicurezza e la libertà di espressione continua, molti si chiedono se la Educational Bookshop potrà riaprire senza restrizioni e se episodi come questo siano destinati a ripetersi.
In altri momenti storici chi aveva il potere ha già cercato di far tacere la cultura, ma, ogni volta, la sua negazione ha creato l'effetto opposto, rendendola più forte: sarà così anche stavolta?
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