di Elena Cazzaniga
I saggi dicono che se si inizia a fare qualcosa dicendo “ma chi me l’ha fatto fare?” quell’esperienza si rivelerà un successo. Ebbene, l’estate scorsa mi sono ritrovata in questa situazione.
Io, giovane marmotta appassionata di montagna, ho preso contatti con il rifugio Madonna della Neve in Val Biandino per lavorarci due settimane. Appena arrivata sono subito stata lanciata a servire ai tavoli nell’ora di punta dei turisti, a mezzogiorno del sabato: potete immaginare il disorientamento iniziale! Poi, però, mi sono ambientata, ho avuto modo di conoscere il personale, e ho scoperto che tutti erano effettivamente volontari per un’associazione no-profit. Tutto il ricavato dall’attività del rifugio, infatti, serve ad organizzare scuole di artigianato in Perù per ragazzi economicamente svantaggiati, questo mi ha dato ancora più motivazione nello svolgere i miei incarichi quotidiani.
La mia “giornata tipo” iniziava alle 7.00 per preparare le colazioni, sia per i volontari, che per i clienti, poi era il turno della pulizia delle camere e dei bagni, igienizzando il tutto come previsto dalla normativa Covid-19. Dopo aver concordato il menù del giorno si dava una mano in cucina, mentre si aspettava di prendere le ordinazioni dei clienti. L’interazione con i turisti è stato il mio ruolo principale e mi piaceva dar loro consigli sul sentiero migliore e fare il possibile per garantirgli relax e quiete dopo stancanti salite, anche se quest’esperienza mi ha permesso di capire che non sempre è facile accontentare i gusti di tutti (e ne ho visti di tutti i colori). Ho anche avuto la possibilità di usare le lingue, accorgendomi che quello che studio sui libri di scuola semplifica non poco la vita quando si vuole comunicare con le persone.
Dopo il pranzo ero addetta al lavaggio stoviglie e, una volta finito, avevo qualche oretta di tempo libero per leggere un libro, suonare la chitarra o godermi la montagna. Al momento della cena si ripeteva lo stesso che si faceva a mezzogiorno, soltanto con meno clienti (e quindi igienizzare, lavare, prendere le ordinazioni, servire ai tavoli, uccidere le vipere, lavare le pentole…). La sera, infine, dopo aver scacciato l’ultimo vecchietto Braulio-dipendente dal bar, potevo uscire e rilassarmi nel silenzio della valle, sotto una stellata mozzafiato e chiedermi ancora una volta: “ma chi me l’ha fatto fare?”. Tuttavia, ora sono ben consapevole che quello che avrei potuto guadagnare in denaro sarebbe stato ben inferiore a tutte le competenze trasversali e concrete che ho acquisito in sole due settimane, senza contare la soddisfazione di sapere che qualche ragazzo dall’altra parte del mondo avrà un’occasione in più nella vita anche grazie a me.
È un’esperienza che consiglio moltissimo, soprattutto se in buona compagnia.
Complimenti per il bellissimo resoconto: sembrava quasi di essere lì, e dovrebbero leggerlo a tutte le persone che si chiedono quale possa essere il significato di queste esperienze di volontariato