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#dalpalcodelPiccolo: "Semidei": la guerra tra umanità e disumanità

Immagine del redattore: Il Foglio di Villa GreppiIl Foglio di Villa Greppi

di Barbara Battistella e Francesca Corbetta


Sentiamo sempre dire che gli eroi omerici non temono la morte e hanno una sola aspirazione: la gloria; temono una sola cosa: il disonore. Non è questo, però, il centro dello spettacolo “Semidei” di Pier Lorenzo Pisano, in scena allo Studio Melato del Piccolo Teatro di Milano dal 6 al 23 febbraio. Lo è, anzi, il suo opposto.  

Una scena dello spettacolo "Semidei": Agamennone e Menelao (in primo piano) e Odisseo, Penelope e il piccolo Telemaco (in secondo piano).													(foto di Masiar Pasquali - fonte: sito web piccoloteatro.org)
Una scena dello spettacolo "Semidei": Agamennone e Menelao (in primo piano) e Odisseo, Penelope e il piccolo Telemaco (in secondo piano). (foto di Masiar Pasquali - fonte: sito web piccoloteatro.org)

Un personaggio su tutti appare particolarmente diverso rispetto all’immaginario comune: Achille, che, in maniera piuttosto buffa e tipica del figlio viziato, si lamenta con la madre Teti, divinità marina, di averlo tenuto per il tallone mentre lo immergeva nelle acque del fiume Stige, poiché questo ha fatto sì che avesse un punto vulnerabile. Achille non vuole assolutamente andare in guerra, perché, lo dice più volte, ha “paura di morire”, affermazione che farebbe rigirare Omero e tutti i Greci antichi nelle rispettive tombe. 

Così, sin da subito, è introdotto il primo dei temi centrali di questo spettacolo: la relazione tra genitori e figli, in base a cui ogni personaggio è presentato sempre nel ruolo di padre, madre, figlio o figlia. Oltre a Teti e Achille, infatti, due degli eroi protagonisti di Iliade e Odissea, uno di parte greca e l’altro di parte troiana, sono ritratti sulla spiaggia in quadretti famigliari abituali in contesto di vacanza: Odisseo, re di Itaca, che gioca, insieme a Penelope, con il figlioletto Telemaco, appena nato; Ettore, più serio e preoccupato per la guerra e per le sorti del proprio popolo, ma che guarda amorevolmente alla tenera scena di gioco tra sua moglie Andromaca e il piccolo Astianatte.

Infine, un’altra scena simpatica, mentre si inizia a percepire l’incombere della guerra imminente: Menelao, re di Sparta, si lamenta del fatto che tutti diano sempre maggiore importanza al fratello Agamennone, sovrano di Micene, quasi annullando la sua persona. E se Agamennone è ritratto come un padre afflitto che chiede ai propri figli di non crescere troppo in sua assenza, Menelao vive la paternità ricordando al fratello di salutare i figli prima di andarsene. Già da questo primo dialogo tra i due si intravvede, però, il secondo dei temi portanti di questo spettacolo: la totale insensatezza della guerra, esplicitata dalla domanda di Menelao, che questa guerra l’ha voluta e cercata, al fratello: “Si può combattere una guerra per amore?”


Dopo quella che può essere considerata la scena più forte di tutto lo spettacolo, ovvero il sacrificio di Ifigenia da parte del padre Agamennone per consentire la partenza della flotta greca alla volta di Troia, i colori della scena e delle luci, l’atmosfera, i toni dei personaggi cambiano totalmente: dalla spiaggia assolata e i costumi da bagno colorati a una distesa di rovine fumanti avvolta dall’oscurità. Sono trascorsi dieci anni, Troia è in fiamme, il dolore sembra un peso che deve essere sostenuto soltanto dalle protagoniste femminili della saga epica: Ecuba, moglie di Priamo re di Troia, in preda al delirio generato dalla devastazione della guerra; Cassandra, premonitrice di sciagure, che prova a stare vicina, come può, alla madre; Andromaca, che cerca disperatamente il figlioletto Astianatte tra i cadaveri e le armature incrostate di sangue nero rappreso. E di nuovo, oltre alla guerra, compare l’importanza dei legami famigliari, proprio nel momento in cui vengono spezzati: se all’inizio le madri apparivano giocose, apprensive ma piene di speranza per il futuro dei figli, ora, invece, non resta loro altra scelta che cedere alla disperazione. 

Giungono poi sulla scena i due fratelli, capi della spedizione greca, Agamennone e Menelao, grigi nel vestiario e nell’anima, schiacciati dal peso di chi hanno ucciso e di ciò che hanno distrutto, dimostrando che i vincitori non sono poi così distinguibili dai vinti.

Una scena dello spettacolo "Semidei": Menelao (a sinistra) e Agamennone (a destra).												(foto di Masiar Pasquali - fonte: sito web piccoloteatro.org)
Una scena dello spettacolo "Semidei": Menelao (a sinistra) e Agamennone (a destra). (foto di Masiar Pasquali - fonte: sito web piccoloteatro.org)

Achille è ormai morto, colpito proprio nel tallone, il punto debole che tanto lo terrorizzava, e, al suo posto, si palesa il figlio Neottolemo con addosso le brutture dei propri crimini, ancora più spietato e sfrontato del padre, da lui invocato e a cui chiede se sia “tutta qui” la sua eredità.

Era consuetudine che le donne fossero rese schiave di coloro che avevano trionfato e così capita anche alle tre regine troiane, dopo la comparsa in scena degli uomini vincitori. Almeno una di loro, però, Cassandra, potrà ottenere una parziale rivincita, poiché le si presenta davanti agli occhi la visione di Agamennone come “cadavere in Micene”: Clitemnestra, sua moglie, infatti, lo ucciderà per vendicare il sacrificio della figlia Ifigenia, stendendo un tappeto rosso per accoglierlo al suo ritorno dalla guerra di Troia, simbolo del bagno di sangue che lo attende.  

A questo punto, potrebbe sorgere spontanea una domanda: gli dèi, cui i Greci erano estremamente fedeli, tanto da arrivare a sacrificare una figlia, come nel caso di Agamennone, che fine hanno fatto? Ci sono, eccome, ma sono impegnati a litigare fra loro, nel concilio, a tifare in maniera grottesca ognuno per il proprio figlio o a insultare quelli degli altri. Zeus, dal canto proprio, cerca di riportare il silenzio, sottolineando quanto la loro esistenza sia appesa al filo della sua volubilità: un giorno, se vorrà, potrà distruggerli tutti in quanto suoi figli, a dimostrazione che anche nel caso degli dèi tutte le relazioni sono riconducibili al legame genitoriale. 

La locandina di "Semidei", in scena al Teatro Studio Melato di Milano dal 6 al 23 febbraio 2025.
La locandina di "Semidei", in scena al Teatro Studio Melato di Milano dal 6 al 23 febbraio 2025.

Questo spettacolo riesce, quindi, in un’impresa apparentemente impossibile: raccontare la guerra senza parlarne direttamente, ma mostrando i suoi effetti prima su chi la attende e la teme, poi su chi l’ha vissuta e sofferta.

Con efficacia, infatti, Pier Lorenzo Pisano è riuscito a rendere lo spettatore consapevole dell’angoscia e del dolore portati dalla guerra, da ogni tipo di guerra. È brutale il modo in cui si passa dai toni giocosi e dalle scene luminose della prima parte dello spettacolo, in cui l’atmosfera è quella della commedia, a toni che si fanno via via sempre più inquietanti e drammatici, in altre parole tragici: emblematica, a questo proposito, la scena in cui Andromaca gioca con il figlioletto, canticchiando, come tutte le mamme, una filastrocca inizialmente scherzosa, ma che poi si fa sempre più lugubre e spietata.

La guerra irrompe da un giorno all’altro nella vita delle persone, portando il buio. E questo è proprio ciò che accade anche sul palco dello Studio Melato: da una scena di pieno sole si passa a una in cui predomina il buio, buio che consente di non vedere la realtà e, quindi, immaginare che non sia davvero tutto perduto, come nel caso di Ecuba, oppure buio che inghiotte gli affetti, come nel caso di Andromaca, che non trova più il figlioletto Astianatte tra i cadaveri di Troia distrutta, perché “il sangue rappreso è nero e qui tutto è nero”.  

Tutto è reso ancor più doloroso dal fatto che questa guerra è priva di senso: è partita dal niente e si porta via tutto. La risposta di Odisseo alla domanda di Achille “Perché dobbiamo combattere?” è, infatti, “Perché siamo re e i re combattono!” e lascia lo spettatore perplesso, dato che comprende subito che tutta l’architettura di questa guerra, che ha smosso migliaia di soldati e mietuto altrettante vittime, si fonda praticamente sul nulla.  

Le domande senza risposta sono ciò che continua a risuonare: perché Agamennone ha dovuto uccidere sua figlia? Perché i Greci hanno combattuto? Soltanto per ottenere “rovine e una città in fiamme”? Qual è la loro casa adesso, “Troia o Micene”?  

Con una domanda si chiude anche l’intero spettacolo: “Ma allora perché abbiamo fatto tutto questo rumore?”.  

E, a propria volta, è con una domanda che gli spettatori tornano a casa, ma anche con una risposta: a che cosa serve la guerra? A generare dolore, da una parte e dall’altra, a spezzare i legami tra figli e genitori, e a nient’altro. 

 


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