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ALTAN, l'innocente trattato come il peggiore dei criminali

di Letizia Sala


Immaginate di tornare a casa dopo una lunga giornata. È già buio, le strade sono quasi deserte e sulle vostre spalle portate il peso di quello che avete appena vissuto. Ad avervi portato alla vostra abitazione non è stato un treno regionale. Nemmeno un tram, nemmeno la metro. È stata una volante della polizia. Questo perché voi siete Ahmet Altan (giornalista, scrittore di fama internazionale ed editorialista turco) e avete appena toccato con mano cosa significa essere ingiustamente privati della libertà.

Il clima è quello di una Turchia in cui le tensioni tra oppositori e sostenitori dell’AKP, partito politico del presidente Erdogan, regolano ormai ogni ambito della vita quotidiana.

Dal fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, che aveva l’obiettivo di rovesciare le condizioni politiche che Erdogan ha imposto sul proprio Paese, nessuno può più dirsi davvero libero. Primo fra tutti, Ahmet Altan, che ha speso gli ultimi quattro anni fisicamente bloccato tra le quattro pareti di un carcere turco.

La sua storia ha inizio nel 2016, con l’arresto a seguito dell’accusa di sostegno a organizzazioni criminali e diffusione di messaggi che avrebbero incentivato il tentato golpe dello stesso anno.

Lo scrittore ha mai fornito il proprio appoggio a gruppi criminali? No. Si è mai manifestamente schierato a favore del colpo di Stato? Nemmeno. Eppure è finito in prigione. Lui, rappresentante del potere che ha la scrittura, quello di liberare le menti, è stato privato di carta, penna e voce, semplicemente perché costituisce un pericolo per il governo di Erdogan. Semplicemente perché è uno dei pochi in grado di aprire gli occhi delle persone e mostrargli che quella dell’AKP è un’oppressione che non può più essere tollerata.

E’ inaccettabile questo clima di censura e privazione da parte della Turchia di Erdogan. Una Turchia che toglie le poltrone in occasione di incontri istituzionali (vedi lo sgarbo verso la presidente Ursula Von del Leyen), che priva della voce chi ha ancora il coraggio di urlare e che ruba carta e penna a chi con carta e penna apre gli occhi e le menti.

Quello di Altan, quindi, non è un semplice ritorno a casa dopo una lunga giornata. È un ritorno alla libertà. È una conquista. È un grido di vittoria. Percorrere i pochi metri del vialetto che portano all’ingresso, aprire la porta e sentirsi finalmente a casa sono tutti gesti ordinari che qui, però, risultano quasi magici.

In pochi credevano che la vicenda di Altan sarebbe finita così. È stato necessario l’intervento della Corte Europea dei Diritti Umani affinché le sbarre che tenevano incarcerato Altan venissero aperte. “Limitazione della libertà d’espressione”: è così che la CEDU ha definito la vicenda. Una detenzione illegittima, un’accusa fittizia dietro l’altra solo per liberarsi del peso di avere un oppositore estremamente influente a piede libero.

La storia di Altan non è ancora finita: su di lui grava l’accusa di diffusione di segreti di Stato. Ma la sua recente liberazione è un enorme passo in avanti. Il contatto Europa-Turchia permette di intravedere un barlume di speranza per il futuro: l’UE, nonostante tutto, non ha voltato le spalle e ad aver vinto non sono stati odio, repressione e censura, ma soltanto la giustizia. Quella di Altan è, dunque, una storia dal risvolto inaspettato, in molti sensi, ma estremamente bello. Forse il Governo turco spera che lo scrittore e giornalista sia stato abbastanza intimorito dagli anni di prigionia da decidere spontaneamente di tacere da ora in avanti. Io, sinceramente, non credo che questo avverrà. Altan non si piegherà. E per questo dobbiamo essergli grati.



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