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  • Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

ULTRAS E TIFO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

di Vasco Mercatanti



Ho deciso di scrivere un articolo sulla questione degli stadi italiani e in particolare dei loro settori più caldi, le curve, in quanto ho l’impressione che questo tema venga spesso trattato con superficialità e tanti pregiudizi. In effetti, il pensiero generale sugli ultras, i componenti dei gruppi organizzati delle tifoserie, è molto sprezzante: si pensa subito a gruppi violenti, i cui componenti, spesso razzisti, solo interessati solamente a creare problemi dentro e fuori dallo stadio.

Dalla mia esperienza personale (tre anni di abbonamento a San Siro) posso dire che questa “definizione” è falsa (tranne qualche eccezione che, ovviamente, è da condannare in pieno) e chi pensa il contrario, probabilmente, non ha mai seguito una partita dal vivo. Infatti le curve sono perlopiù composte da ragazzi e ragazze che sostengono i loro idoli in maniera passionale e viscerale, mossi dal profondo attaccamento verso la squadra che amano (perché sì, è di amore che si parla). Per 90 minuti si diventa un unico grande corpo, si entra in uno stato di trance emotiva e fisica dal quale si esce solamente dopo i tre fischi dell’arbitro.

Alla luce di tutto ciò, fa tanta rabbia vedere che le scene di guerriglia urbana accadute in questi giorni sono state in parte organizzate da ultras, perché questi comportamenti non fanno altro che offuscare l’immagine dei veri tifosi e rafforzare quei luoghi comuni così fastidiosi. Non è accettabile che il tifo sano e genuino venga annientato da qualche azione che, con il tifo, non c’entra veramente nulla.

In questi periodo così stravolgente, che ha sconvolto le nostre abitudini, anche il modo di sostenere la propria squadra è cambiato. Chi come me era abituato a frequentare abitualmente lo stadio si è sicuramente reso conto di quanto è diverso tifare davanti alla televisione. Se lo stadio è un luogo “magico” nel quale quasi tutto è concesso, a casa no. In molti momenti ti senti quasi “chiuso in gabbia”, in quanto gli stessi comportamenti che allo stadio puoi fare passando inosservato, sul divano di fianco ai tuoi genitori appaiono eccessivi, fuori posto. In generale, si può affermare che il calcio senza pubblico, senza ultras, non è calcio. O meglio, lo è, ma è una versione sbiadita, svuotata della sua essenza: i cori, le coreografie… la passione.

Per questo motivo, la speranza è che questo incubo possa finire al più presto e che i settori degli stadi tornino a riempirsi!

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