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  • Immagine del redattoreIl Foglio di Villa Greppi

Oltre il giorno della memoria - Riflessioni di una ex proff.

di Gabriella Montali


C’è una sola unica enorme quercia in mezzo ad una spianata che si chiama ancora “bosco dei faggi”, ossia Buchenwald, il bosco tristemente famoso che non c’è più, perché tutto il faggio dei suoi alberi è stato utilizzato per costruire uno dei campi di sterminio più importanti del periodo nazista. Questa quercia si trova a circa otto chilometri da Weimar, nella regione della Turingia, nella Germania orientale, dove visse per molto tempo il venerato Goethe. Ed è questa l’unica ragione per cui quella quercia è stata risparmiata dai Nazisti, mentre tutto intorno, a partire dal 1937, sono sorte a poco a poco le baracche del Lager, dove hanno trovato la morte migliaia di ebrei, oltre a molti zingari e omosessuali, politici, testimoni di Geova, scrittori e tanti altre persone invise al regime. Qui, sotto le sue fronde, il grande Goethe amava sostare e scrivere, lui che fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento si era fatto portavoce di una Europa fondata sui principi più profondi del mondo occidentale: dignità, amore per il bello, rispetto dell’essere umano.

Ebbene, questa quercia ci deve ricordare i valori che sono stati calpestati durante il periodo più buio della storia della Germania. Ci deve ricordare che non solo nel giorno della memoria, ormai eretto a elemento quasi museale, e quindi facilmente incasellabile come esperienza passata, non solo il 27 gennaio, dunque, dobbiamo pensare a quell’eccidio senza uguali, di persone che avevano in tutti i campi del sapere arricchito l’Europa e la sua cultura e raffinato il suo sentire.

Resterà di tutte queste vite finite in un camino, dissolte nel fumo dei forni crematori di Auschwitz e di tanti altri campi di concentramento, - resterà di loro veramente memoria? O la sorte di sei milioni di Ebrei sarà fra qualche anno soltanto presente nei libri di storia come un trafiletto, come amaramente profetizza la senatrice Liliana Segre?

L’indifferenza è un male che può distruggere la nostra umanità, come ci ricorda Hannah Arendt, e, quindi, non deve ottundere la nostra capacità di provare compassione, ma insieme indignazione e rabbia, per ciò che è stato e sempre ogni giorno, mutatis mutandis, succede. Ogni qualvolta si disprezza e si uccide una persona indifesa, ogni qualvolta si mobbizza qualcuno o si calpesta un diritto, riemerge quella matrice del male che ha permesso di commettere le più atroci nefandezze.

Non ci si senta, dunque, a posto con la propria coscienza per il minuto di silenzio che il 27 gennaio in ogni scuola italiana si dedica alle vittime dell’Olocausto.

La nostra coscienza dovrebbe ogni giorno provocare azioni perché questo non accada più.

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